Cristianesimo e Islam: incontri, scontri, fraintendimenti |
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Perché
in Europa e soprattutto in Italia regna alternativamente nei confronti
dell’Islam l’atteggiamento schizofrenico della rimozione e del
panico? C’è una forte presenza di persone di altre culture e di altre
religioni, che tuttavia non provoca reazioni paragonabili. Cito un brano
da un libretto di Franco Cardini: «La "minaccia" o il
"pericolo" dell’Islam, quali in questi anni si configurano
sotto forma di intransigenza fondamentalista o d’invadenza migratoria,
ci preoccupano in modo particolare, forse perché risvegliano in noi
echi che potrebbero sembrarci archetipici. È l’Occidente illuminato,
pacifista e tollerante, che, sulla scia di Voltaire, non si è mai
perdonato le crociate, riscopre ora che ancor prima di esse il
mediterraneo era stato sconvolto dal jihad
islamico che nel breve volgere di qualche decennio aveva condotto le
verdi insegne del Profeta a garrire sulle mura di Damasco, di
Alessandria, di Palermo, di Siviglia… e torna con la mente alle glorie
di Jan Sobieski, di Marco d’Aviano, del principe Eugenio di Savoia.
Non è forse l’Islam il "secolare Nemico", il Nemico
metafisico della nostra civiltà occidentale? Eppure, attenzione: sono i
totalitarismi che hanno bisogno, per affermarsi e sostenersi, di un
Nemico Metafisico. Vigilate, quindi: e chiedetevi sempre se per caso non
vi siano oggi, nel nostro Occidente, forze interessate a far giocare al
musulmano (un musulmano, poi, teorico e disincarnato, lontano dalla
concretezza di chi professa l’Islam nella realtà…) il ruolo che in
altri più o meno lunghi momenti, sotto i cieli nostri o altrui, hanno
giocato gli eretici o le streghe, i cattolici o i riformati, i gesuiti o
i massoni, gli ebrei o i negri, i fascisti o i comunisti, i preti o gli
anarchici, i kulaki o i "borghesi"».
(Noi e l’Islam. Un incontro
possibile?, Laterza 1994, pp. 6-7). La
schizofrenia ha dunque radici antiche, che affondano in secoli di
contrapposizioni, di incontri e di scontri e soprattutto in una grande
ignoranza e di grandi pregiudizi reciproci. Dal punto di vista
psicologico tale atteggiamento si potrebbe definire, in una parola, la
paura dell’altro o, politically più correct, la preservazione della
propria identità culturale. Ma si tratta qui di un "altro"
particolare, con una sua storia, una sua cultura, rapporti stretti e
conflittuali che forse, in un certo senso e solo tardivamente, hanno
contribuito a creare la cultura dell’Europa come continente, a sua
volta con una cultura, tutto sommato, comune, e una religione in comune:
il cristianesimo. Tale coscienza comincia ad apparire in documenti
ufficiali solamente alla soglia del Rinascimento, negli scritti del Papa
Pio II, l’umanista Enea Silvio Piccolomini e matura nel clima di
sconforto per il tramonto ormai definitivo dell’idea di crociata
proprio in contrapposizione all’Islam: Europa come la sede – patria
et domus – della Cristianità; pertanto si poteva stimare
cristiano chiunque fosse ritenuto europeo: "Europaei,
aut qui nomine christiano censentur". Certamente
non è questo l’unico e forse nemmeno il principale fattore che diede
agli europei una coscienza unitaria, ma un elemento sì e forse non
secondario, benché spesso fondato prevalentemente sulla paura e sui
fraintendimenti reciproci. Di fatto, quasi mai il concetto di Europa,
lungo la storia, equivalse a una definizione netta dei confini tra il
mondo cristiano da una parte e il dâr
al-islâm dall’altra, se consideriamo l’Europa da Gibilterra
agli Urali e agli stretti che determinano il Mar di Marmara. La
storia è segnata anche da periodi di rapporti molto stretti tra i due
"mondi" e da influenze reciproche talora assai feconde. Le
pieghe "oggettive" della storia ci informano inoltre di
compromessi di ordine politico ed economico che attraversarono i due
campi: la religione passava nettamente in secondo piano rispetto a
interessi di potere e di denaro. Ma, a partire soprattutto dall’epoca
ottomana, il pericolo principale per Europa cristiana è stato
individuato nei Turchi musulmani. Non è facile sciogliere l’intrico
inestricabile tra religione, affari e politica. Ma l’immaginario tende
a demonizzare l’avversario e a santificare la difesa. Così è facile
passare alla benedizione delle armi, che in realtà difendono
soprattutto la cultura o l’egemonia politica, giustificandola in
funzione della difesa della religione "vera" contro le
contaminazioni e l’invasione da parte di una religione
"falsa" e bugiarda. Un
esempio molto chiaro di questo atteggiamento ambiguo lungo la storia è
vicino a noi. Basti pensare alla potenza della Repubblica marinara di
Venezia, costituitasi di fatto su continui traffici ora in sintonia con
i sultani del dâr al-islâm
ora in lotta contro di essi. Venezia (ma Genova non era di meno) trafficò
sempre con tutti, a prescindere da questioni religiose, mettendo in
primo piano sempre e comunque il proprio interesse commerciale. Che cosa
c’era, in realtà, dietro i suoi appelli al Papa o ai governi
cristiani d’Europa per organizzare crociate contro il Turco? Veneziani
e genovesi, in lotta tra loro per il possesso di concessioni e fòndachi
in Costantinopoli, erano il nerbo principale delle truppe che dovevano
difendere la capitale dell’impero bizantino nel 1453 dalle truppe di
Maometto II; a loro volta ambedue erano fieramente odiati dai cristiani
greci ortodossi di Costantinopoli, che preferivano la sottomissione al
turbante alla tiara pontificia del Papa di Roma (e questo la dice lunga
sui rapporti tra i cristiani anche in funzione antiislamica. Notiamo che
l’imperatore bizantino e un riottoso patriarca avevano appena firmato,
con il cappio al collo della necessità assoluta di aiuto da parte
dell’occidente, l’unione delle due confessioni cristiane a Firenze,
sconfessati subito dopo dai loro sudditi). Per
non parlare delle innumerevoli alleanze tra principi e re cristiani con
capi musulmani per dirimere questioni e dissidi tra potentati cristiani.
Le medesime ambiguità ebbero naturalmente luogo anche nel campo
avversario: principi musulmani stabilivano tranquillamente alleanze con
i corrispondenti cristiani per questioni economiche o di potere. Ambedue
le entità poi, lungo il corso dei secoli, si servirono ampiamente di
organici militari o amministrativi o intellettuali del campo avverso. La
storia della Spagna, con la sua splendida e tormentata presenza
dell’Andalusia musulmana fino alla definitiva riconquista sotto i
"re cattolici", è lì a testimoniare che la religione era
spesso un palliativo, una foglia di fico per nascondere inconfessabili
vergogne. La splendida e intricata storia di Federico II nell’Italia
del sud, con la sua meravigliosa e illuminata corte di Palermo, è un
altro esempio di collaborazione tra le tre religioni in vista di un
progetto culturale e politico comune, che rimase però a livello di
utopia per il prevalere di altri interessi. La storia è maestra, anche
se inascoltata. Ed è piena di ambiguità e di ipocrisie, spesso
farisaicamente velate dietro i paraventi della religione. Non mi sogno
nemmeno di sminuire i problemi, anche religiosi, che si pongono davanti
a noi. Invito solo a non essere troppo faciloni, precipitosi,
massimalisti in un senso o nell’altro. Distinguere il grano dalla
zizzania è difficile sempre e per tutti. E nel breve periodo non è mai
appagante. La
storia comunque, imperterrita, si ripete, con poche varianti, fino ai
giorni nostri a partire dalla tormentata propaggine europea dei Balcani
per allargarsi a livello planetario: definizioni di stati e di regimi
musulmani come "moderati", "progressisti" o "fondamentalisti"
sono spesso funzionali non a una realtà religiosa ma a rapporti di
altro tipo. Se
volessimo indicare delle date che segnano altrettante fasi simboliche
dei rapporti tra Islam e Cristianesimo, dovremmo indicare degli eventi
che sono stampati nella memoria collettiva dell’Europa:
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