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1. La distinzione razziale

Copertina del primo numero della rivista “La difesa della razza”, anno I, n. 1, 5 agosto 1938. In alto a sinistra sotto al titolo si legge: "Sempre la confusion delle persone / principio fu del mal della cittade" (Dante-Paradiso XVI).

Analisi iconografica
L'immagine di copertina del primo numero della “Difesa della razza” divenne il simbolo della rivista. Un viso raffigurante la presunta “razza italica”  viene diviso dalle “razze” ebraica ed africana.
La scelta di una statua greca (il Doriforo di Policleto) fu influenzata dagli schemi dell'estetica nazista, ma nell'immaginario del lettore italiano rimanda al mondo classico della Roma antica: il viso marmoreo si presta a rappresentare la “razza italica”, inserendosi all'interno di una propaganda ideologica intrapresa dal regime già dal 1935: raffigurare i fascisti come gli eredi della stirpe romana (“i romani della modernità”, come li ha definiti Emilio Gentile (Gentile 1993, p. 129 e sgg.) e il fascismo come compimento dell'opera civilizzatrice dell'impero di Roma. Gli italiani venivano così raffigurati quali depositari delle virtù fisiche e spirituali degli antichi romani.
Tutti i visi hanno caratteri fisionomici fortemente accentuati, in base alla strategia di assegnare caratteri fisici e dunque biologici ed immutabili agli individui. Il viso semita è una caricatura di terracotta del III sec. d.C. La scelta di rappresentare i tre visi attraverso tre diversi materiali aveva l'effetto di suggerire l'irriducibile diversità nella natura dei soggetti (Cassata 2008, p. 343).
L'uso di due statue al posto di fotografie risponde alla volontà sia di indicare una immutabilità dei caratteri biologici sia di far riferimento ad una tradizione e ad una cultura su cui poggiare e legittimare la distinzione razziale, dimostrandone anche la presunta continuità storica.
Sempre all'ideale di “moderna romanità” fa riferimento l'uso del gladio, l'antica spada delle legioni romane che fu uno dei simboli del fascismo italiano. Essa è impugnata da una mano giovane e curata che rimanda probabilmente alla determinante funzione attribuita dal regime all'educazione e al ruolo delle giovani generazioni nate e cresciute sotto il totalitarismo fascista.
I tre visi sono disposti in modo tale che la “razza italica” rimanga dietro ai due soggetti in primo piano contro cui si rivolge la discriminazione razziale,  mentre le dimensioni dei visi seguono una regola inversa da quella prospettica: la maggiore grandezza del viso romano corrisponde alla sua presunta superiorità razziale.
Tra il titolo e l'immagine campeggia una citazione di Dante (che rimarrà una costante della rivista): il riferimento al padre della lingua italiana, fonte di identificazione nazionale, costituisce un tassello della collaudata strategia di legittimazione storica del nuovo razzismo fascista attraverso la strumentalizzazione della tradizione culturale.

1. La distinzione razziale 2. Razzismo e caratteri fisionomici 3. Romanità e "razza italica" 4. Donne ed eredità genetica 5. Romanità e antisemitismo 6. I meticci e l'ibridismo 7. Razzismo e violenza sessuale ¦ home

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