4. L’ebraismo e noi |
||
Cosa
ha da insegnare l’ebraismo all’uomo del Duemila? Direi che si possono
individuare tre elementi. 5.1.
I precetti.
Una delle idee principali della tradizione ebraica è l’importanza di
tutto, di ogni gesto, di ogni parola, di ogni pensiero degli uomini. Nulla
è indifferente, tutto ha peso. Questa nozione, che oggi è spesso
trascurata, deriva dal fatto che nel pensiero ebraico non esiste l’anima
da una parte e il corpo dall’altra, le parole da una parte e le azioni
dall’altra, le intenzioni da una parte e la realtà dall’altra:
l’uomo è una totalità e ogni suo aspetto ha valore! Infatti i 613
precetti non hanno gerarchia: anche quello che sembra secondario è
altrettanto importante. Noi
tendiamo a dare più importanza all’intenzione: che importa quello che
mangio, che importa come mi vesto? Ciò che conta è il cuore,
l’intenzione. Nell’ebraismo invece i riti che scandiscono
l’esistenza sono il ritmo (etimologicamente) della vita: il precetto ci
ricorda che tutto quello che facciamo ha valore. Siccome viviamo in una
società, noi siamo un intreccio di azioni e di re-azioni, che lasciano
tracce, che sono tutte importanti. Tutto ci condiziona e noi condizioniamo
tutto. Da qui deriva il concetto di responsabilità:
il precetto ci fa toccare con mano questa responsabilità, visto che nella
fede ebraica si afferma che non è solo Dio a reggere e a governare il
mondo e la storia, ma anche l’uomo. Il destino dell’umanità è una
partita che si gioca in due: Dio e l’uomo sono impegnati insieme, in
forza del patto stipulato con Dio. Ci
sono precetti che si devono compiere anche se sono incomprensibili. Perché
questo? Per il fatto che anche nel mondo ci sono cose che non sono
comprensibili. E’ qui che il precetto ha una funzione orientatrice, e
non solo in senso simbolico, perché chi ama lo fa con tutto il suo cuore,
con tutte le sue forze, non simbolicamente, anche se l’amore spesso
fugge alla comprensione. In pratica, il precetto ci fa comprendere che la
ragione non è tutto, che a volte l’intenzione non basta. Noi pensiamo
che la ragione e la riflessione siano dei mezzi di pacificazione, di
ordine; però tante cose sfuggono alla ragione, la ragione può anche
portare al caos. La ragione dopo tutto è solo una parte dell’uomo. Il
precetto invece ci fa capire che non siamo solo ragione, ma anche corpo.
Non compio delle azioni particolari per arrivare a Dio, ma casomai perché
provengo da Dio, ma non sono come lui. 5.2.
Il rispetto per gli altri.
Fin da quando crea il mondo, Dio opera per distinzioni: gli esseri viventi
sono creati ognuno «secondo la propria specie»: la differenziazione è
dunque voluta da Dio e tale deve essere mantenuta; questo significa che
ogni specie ha la sua autonomia, la sua particolarità, il suo valore e
quindi deve essere rispettata. Anche l’umanità si divide presto in
tanti popoli: l’unità del genere umano fallisce già con la coppia
Adamo-Eva, poi con i figli di Noè (Genesi 10), poi con la torre di Babele
(Genesi 11). Però tutti gli uomini, al di la delle differenze, restano
legati gli uni gli altri, tanto che al centro dell’ebraismo c’è l’«amerai
il tuo
prossimo come te stesso» (Levitico 19,18). Per questo l’ebraismo è
contrario ad ogni livellamento, assimilazione, alla rinuncia alla
personalità etnica, tanto per se stesso quanto per gli altri popoli. 5.3.
La concezione del tempo.
Come dice A. Neher, mentre gli egiziani e i greci sono i costruttori dello
spazio, i romani i costruttori dello stato e dell’impero, i cristiani i
costruttori del cielo, gli ebrei sono i costruttori del tempo. E’
centrale la concezione del Sabato: come si è visto, non si tratta (come
la Domenica cristiana) di una giornata dedicata alla distensione
spirituale e alle preoccupazioni dell’anima, ma una sospensione
dell’attività inventiva dell’uomo. Il Sabato rende l’uomo padrone
dei meccanismi del tempo e non sua vittima; si potrebbe dire che il Sabato
è il partner dialogante del lavoro, perché fornisce alla civiltà umana
la possibilità di realizzare, come dice P. Ricoeur, la sua vocazione:
essere una civiltà del lavoro e al tempo stesso una civiltà della
parola. Ma come c’è il Sabato di ogni settimana, c’è anche il Sabato ogni sette anni (anno sabbatico, Lev 25,1-7.18-22), e il Sabato ogni cinquant’anni (anno giubilare). Si tratta di una piramide temporale che riguarda la terra (nell’anno sabbatico deve riposare), il debitore (nell’anno sabbatico gli sono rimesso o debiti) e lo schiavo (nell’anno giubilare veniva liberato). In pratica, questi Sabati rompono il ritmo della vita economica. Danno all’uomo il potere di ritrovare se stesso in mezzo a tutte le alienazioni della vita, senza per questo dover rinunciare alla sua vocazione economica, creatrice e produttiva. Il tempo, nella sua libertà, libere l’economia dalle sue catene. Anche in questo caso l’uomo non è schiavo delle leggi economiche.
|