3. I precetti (mizvoth)

«La peculiarità della vita religiosa ebraica sono i segni dell’alleanza, le feste commemorative e tutto un intreccio di precetti biblici e rabbinici che accompagnano l’ebreo dalla culla alla tomba, negli affari, in famiglia e comunità, di generazione in generazione» (Pnina Navé Levinson, Introduzione alla teologia ebraica, cit., p. 126.) Gli ebrei sono sia «nazione santa» (goj qadosh) sia «luce delle nazioni» (or le-gojim): vivendo la propria fede, l’ebreo compie il suo compito nei confronti dell’umanità. Ne consegue che tutte le manifestazioni della vita ebraica (lo shabbat, le feste, la circoncisione [millah], il bagno rituale [miqweh], la mezuzah, i tephillim, gli zizit, la kashruth, ecc.) «da un punto di vista teologico, non sono viste soltanto come fini a se stesse, ma testimoniano il compito nei confronti dell’umanità, che deve passare dall’estraneità alla fratellanza» (Pnina Navé Levinson, Introduzione alla teologia ebraica, cit., p. 130).

L’ebraismo è non tanto un’ortodossia, ma un’ortoprassi (nell’ebraismo tutto sommato si parla poco di Dio). Esodo 24,7: «Tutto quello che il Signore ha detto faremo e ascolteremo». L’esegesi rabbinica è concorde nell’affermare che questa frase indica il fatto che il popolo si è impegnato ad osservare i precetti prima ancora di conoscerne i contenuti.

I dieci comandamenti, dati da Dio sul Sinai sette settimane dopo l’uscita dall’Egitto (Es 20,2-14; Dt 5,6,18), sono il cuore dell’ebraismo, il nucleo del suo codice morale e rituale. Tuttavia, come la Torah scritta non può prescindere dalla Torah orale, così i dieci comandamenti (aséret ha-Dibberoth) non possono prescindere dai Taryag mitzvoth («613 precetti»), cioè quei precetti che sono stati trasmessi oralmente a Mosè: si tratta di 613 precetti, 248 positivi e 365 e negativi.

Quando noi sentiamo parlare di precetti, subito pensiamo a qualcosa di legalistico, di formale, di oppressivo. La concezione di base non è quella del do ut des, tanto è vero che i precetti, segno concreto del patto, nell’ebraismo non sono soltanto di carattere morale, ma anche rituale, culturale, giuridico, penale. Compio qualcosa non per ottenere un merito, ma perché ho stretto un patto. In sostanza, i precetti dipendono dalla rivelazione divina. Per cui i precetti diventano uno stile di vita derivante dall’alleanza. Non c’è nulla di legalistico, anche se c’è il rischio di scadere nel legalismo.

La Torah è la parola di Dio che insegna ciò che bisogna fare e non fare. Ma a che scopo? Nel Levitico 20,26 si dice: «E mi sarete santi perché santo sono Io il Signore e vi ho distinti dagli altri popoli affinché apparteniate a Me». Questa frase non significa, moralisticamente: siate buoni perché io sono buono, ma: siate separati da ciò che io non voglio (compio dei precetti non per diventare santo, ma perché sono santo). Si tratta di una separazione anche rituale e non solo etica. Se l’ebraismo è un mondo in cui domina il pluralismo, le discussioni, il dubbio, tuttavia domina anche la distinzione: Dio odia qualsiasi mescolanza. I precetti, quindi, hanno lo scopo di sottolineare questa separazione. Non a caso, quando Dio crea il mondo, separa gli elementi (si tratta della nozione più antica di santità). Dio è separato dal mondo, ma è anche presente in esso.

Ma il precetto ha un’altra funzione: una funzione memoriale. L'esempio più chiaro e più importante è offerto dal testo di Numero 15,38-40, relativo al precetto delle frange (zizzìth) alle vesti: «Parla ai figli di Israele. Dirai loro che si facciano dei fiocchi all'estremità delle loro vesti e a quelle dei loro discendenti, e mettano ai fiocchi degli angoli un filo di lana azzurra. E questo sarà per voi dei fiocchi: quando li guarderete, ricorderete tutti i precetti di Dio e li eseguirete, e non correrete dietro al vostro cuore e dietro ai vostri occhi, dietro ai quali vi siete prostituiti. Affinché vi ricordiate ed eseguiate tutti i Miei precetti e siate santi (qodashim) al vostro Dio». I fiocchi, che pure di per sé non simboleggiano nulla e non si possono certo riferire ad alcun comportamento etico e neppure devoto, sono soltanto (e questo soltanto non indica il minimo, ma il massimo del valore dell'esistenza ebraica) un pro memoria di Dio e delle sue opere. Sono un appello al ricordo e all'obbedienza, e quindi l'esecuzione di  questo precetto è un atto di fede che merita il dono dello Spirito Santo.