3. I precetti (mizvoth) |
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L’ebraismo
è non tanto un’ortodossia, ma un’ortoprassi (nell’ebraismo tutto
sommato si parla poco di Dio). Esodo 24,7: «Tutto quello che il Signore
ha detto faremo e ascolteremo». L’esegesi rabbinica è concorde
nell’affermare che questa frase indica il fatto che il popolo si è
impegnato ad osservare i precetti prima ancora di conoscerne i contenuti. I
dieci comandamenti, dati da Dio sul Sinai sette settimane dopo l’uscita
dall’Egitto (Es 20,2-14; Dt 5,6,18), sono il cuore dell’ebraismo, il
nucleo del suo codice morale e rituale. Tuttavia, come la Torah scritta
non può prescindere dalla Torah orale, così i dieci comandamenti (aséret
ha-Dibberoth) non possono prescindere dai Taryag
mitzvoth («613 precetti»), cioè quei precetti che sono stati
trasmessi oralmente a Mosè: si tratta di 613 precetti, 248 positivi e 365
e negativi. Quando
noi sentiamo parlare di precetti, subito pensiamo a qualcosa di
legalistico, di formale, di oppressivo. La concezione di base non è
quella del do ut des, tanto è
vero che i precetti, segno concreto del patto, nell’ebraismo non sono
soltanto di carattere morale, ma anche rituale, culturale, giuridico,
penale. Compio qualcosa non per ottenere un merito, ma perché ho stretto
un patto. In sostanza, i precetti dipendono dalla rivelazione divina. Per
cui i precetti diventano uno stile di vita derivante dall’alleanza. Non
c’è nulla di legalistico, anche se c’è il rischio di scadere nel
legalismo. La
Torah è la parola di Dio che insegna ciò che bisogna fare e non fare. Ma
a che scopo? Nel Levitico 20,26 si dice: «E mi sarete santi perché santo
sono Io il Signore e vi ho distinti dagli altri popoli affinché
apparteniate a Me». Questa frase non significa, moralisticamente: siate
buoni perché io sono buono, ma: siate separati da ciò che io non voglio
(compio dei precetti non per diventare
santo, ma perché sono santo).
Si tratta di una separazione anche rituale e non solo etica. Se
l’ebraismo è un mondo in cui domina il pluralismo, le discussioni, il
dubbio, tuttavia domina anche la distinzione: Dio odia qualsiasi
mescolanza. I precetti, quindi, hanno lo scopo di sottolineare questa
separazione. Non a caso, quando Dio crea il mondo, separa gli elementi (si
tratta della nozione più antica di santità). Dio è separato dal mondo,
ma è anche presente in esso. Ma il precetto ha un’altra funzione: una funzione memoriale. L'esempio più chiaro e più importante è offerto dal testo di Numero 15,38-40, relativo al precetto delle frange (zizzìth) alle vesti: «Parla ai figli di Israele. Dirai loro che si facciano dei fiocchi all'estremità delle loro vesti e a quelle dei loro discendenti, e mettano ai fiocchi degli angoli un filo di lana azzurra. E questo sarà per voi dei fiocchi: quando li guarderete, ricorderete tutti i precetti di Dio e li eseguirete, e non correrete dietro al vostro cuore e dietro ai vostri occhi, dietro ai quali vi siete prostituiti. Affinché vi ricordiate ed eseguiate tutti i Miei precetti e siate santi (qodashim) al vostro Dio». I fiocchi, che pure di per sé non simboleggiano nulla e non si possono certo riferire ad alcun comportamento etico e neppure devoto, sono soltanto (e questo soltanto non indica il minimo, ma il massimo del valore dell'esistenza ebraica) un pro memoria di Dio e delle sue opere. Sono un appello al ricordo e all'obbedienza, e quindi l'esecuzione di questo precetto è un atto di fede che merita il dono dello Spirito Santo.
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