Giovenale, Satires VI, 542–547;XIV, 96-106

     

 

Cum dedit ille locum, cophino fenoque relicto

arcanam Iudaea tremens mendicat in aurem,

interpres legum Solymarum et magna sacerdos

arboris ac summi fida internuntia caeli.

Implet et illa manum, sed parcius; aere minuto

qualiacumque voles Iudaei somnia vendunt.

 

Quidam sortiti metuentem sabbata patrem

nil praeter nubes et caeli numen adorant,

nec distare putant humana carne suillam,

qua pater abstinuit, mox et praeputia ponunt;

Romanas autem soliti contemnere leges

Iudaicum ediscunt et servant ac metuunt ius,

tradidit arcano quodcumque volumine Moyses,

non monstrare vias eadem nisi sacra colenti,

quaesitum ad fontem solos deducere verpos.

Sed pater in causa, cui septima quaeque fuit lux

ignava et partem vitae non attigit ullam.

   

  Egli se n’è appena andato, ed ecco un’ebrea tutta tremiti, che, deposto il suo cesto e il suo fieno, mendica di soppiatto all’orecchio; ella è interprete delle leggi di Gerusalemme, grande sacerdotessa dell’albero, fedele messaggera del cielo. Anche a lei si riempie la mano, ma con meno: per due soldi i Giudei vendono tutti i sogni che vuoi!

 

 

Altri ancora, avendo avuto dalla sorte un padre che si preoccupa del sabato, non adorano altro che le nuvole e la potenza del cielo, e sono convinti che non ci sia alcuna differenza tra la carne umana e quella del porco, da cui già il padre si asteneva, e presto si fanno circoncidere. Soliti poi a non curarsi delle leggi romane, imparano a memoria il diritto giudaico, lo osservano e lo temono, insieme con tutto quanto ha loro tramandato Mosè col suo misterioso volume, e soltanto ai loro correligionari indicano la strada, soltanto ai circoncisi la fonte. La colpa è del padre che ogni sette giorni stava in ozio e rifiutava qualunque occupazione.