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IL SIMBOLISMO E LA POESIA MODERNA |
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La poesia moderna è
strettamente legata al simbolismo. Vediamo alcune definizioni. Ugo
Fredrich dice: «La poesia evita di
riconoscere mediante versi descrittivi o narrativi il mondo oggettivo e
anche quello interiore nella sua sussistenza oggettiva».
Questa definizione vale anche per il romanzo: la crisi del realismo e
del razionalismo fa sì che la poesia simbolista eviti di riconoscere la
realtà nella sua sussistenza oggettiva, la realtà esterna, ma anche la
realtà interiore, cioè i sentimenti. La poesia moderna non è né
descrittiva né narrativa (si confronti, per esempio, la nebbia di
Carducci con quella di Pascoli).
L’idea dominante della
poesia simbolista è la poésie pure di Mallarmé; poesia pura
significa poesia in cui le parole interrompono i rapporti comunicativi
con la realtà esterna e si pongono esse stesse come realtà; detto
altrimenti, significa che la parola non è più considerata un veicolo per
comunicare realtà esterne o interne, ma essa stessa è un simbolo, cioè
vuole essere considerata nella sua autonomia. «Simbolo» è termine greco
(symbolon, da sym-ballo, «mettere insieme») che indica il
rapporto tra l’oggetto e la sua rappresentazione verbale, per cui, di
per sé, ogni parola è un simbolo perché rappresenta un oggetto pur in
sua assenza; per i simbolisti, invece, il simbolo è la sostituzione del
mondo con la parola e la considerazione della parola poetica come mondo
stesso (la parola è il mondo).
Vediamo altre
definizioni. «Il simbolismo è teso
ad individuare l’elemento o il principio poetico nella sua essenza e a
creare il linguaggio peculiare della poesia indipendentemente da quello
di qualsiasi altro ordine di attività individuale»
(Mario Luzi). «La quiddità
della poesia moderna sta nel suo essere, all’interno delle arti della
parola, la forma organica della separazione radicale dell’individuo dal
suo corpo sociale e dalla sua non mediata opposizione ad esso»
(Piervincenzo Mengaldo). «La
poesia vuole essere un tutto autosufficiente, plurivalente nel
linguaggio che da esso si irradia, un tutto risultante da un’intricata
tensione di forze assolute, le quali agiscono con la suggestione su
strati prerazionali» (Ugo Fredrich).
Come succede nel romanzo, la
rottura con il reale è anche una rottura con il razionale. Di
conseguenza, la poesia si autonomizza non solo rispetto al reale, ma
anche rispetto al razionale. Autonomia non significa che la poesia vuole
creare un universo alternativo senza legami con niente, ma significa la
creazione di un organismo autosufficiente rispetto ai parametri della
realtà e della ragione razionale, un organismo che ha legami con la
suggestione su strati prerazionali (symballo indica un legame,
quindi legame con qualcos’altro). Ovviamente, questa autosufficienza è
tale rispetto al reale e al razionale, ma non rispetto all’irrazionale e
all’inconscio. La poesia aggira l’altro per raggiungere l’Altro (altro =
razionale; Altro = irrazionale).
Non è un caso che il
linguaggio simbolico studiato da Freud in campo psicologico (cfr.
L’interpretazione dei sogni) abbia strette analogie con il
linguaggio simbolico della poesia. Questo perché il linguaggio simbolico
di Freud ha rotto con il reale e il razionale, cioè è un linguaggio
non-logico (o meglio, è portatore di una logica-altra), che mette in
crisi la sintassi «diurna», perché prescinde dagli strumenti specifici
del reale-razionale, che sono poi i tre grandi principi della logica
aristotelica: il principio di identità, il principio del terzo escluso (tertium
non datur) e il principio di non contraddizione. Nel linguaggio del
sogno il minimo che possa accadere è la crisi del rapporto
causa-effetto: possiamo spaventarci vedendo un gatto (cosa che non
avviene nella realtà) e non spaventarci per un incendio (come avviene
nella realtà); ma va in crisi anche il rapporto spazio-tempo: nel
sogno possiamo essere dappertutto nello stesso tempo. In poche parole,
il linguaggio del sogno (simbolico, quindi della poesia simbolista)
abolisce la sintassi “normale” e punta tutto sull’analogia, che
significa operare dei collegamenti tra elementi che, nella logica
diurna, sembrano senza apparente legame. Faccio un esempio: nel caso
clinico intitolato L’uomo dei topi, il protagonista dice a Freud
di sognare dei topi e di collegarli alle cambiali da pagare. Che
c’entrano i topi con le cambiali? Guarda caso, in tedesco topo di dice
ratten che è quasi uguale a raten, cioè la rata da pagare:
l’allitterazione delle due parole produce un collegamento che la logica
diurna non consente.
Come si sa, i due meccanismi
fondamentali del sogno sono la condensazione (mettere insieme
elementi eterogenei tra loro) e lo spostamento (collocare un
universale nel particolare e viceversa). Ebbene, non si tratta forse
degli stessi principi che stanno alla base delle figure retoriche? Per
esempio, la metafora è un linguaggio ipercondensato, mentre la metonimia
è analoga allo spostamento (il particolare per l’universale e
viceversa). E si sa che la poesia moderna rigurgita di figure retoriche.
Le analogie tra il linguaggio psichico di Freud e quello poetico
simbolista non sono dovute al caso (se si parla di caso, ci si pone in
un’ottica razionalista), ma al fatto che c’è di mezzo l’inconscio, cioè
c’è di mezzo l’Altro (non tutto è reale e razionale!).
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