La commedia greca |
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1. Differenze tre tragedia e commedia |
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La
parola «comico» ha in italiano due significati: «proprio della
commedia» e «che fa ridere». Il secondo significato deriva dal primo
e si spiega etimologicamente con il fatto che nell'antichità greca e
romana il genere della commedia era caratterizzato dall'intenzione e
dalla funzione di divertire il pubblico degli spettatori suscitandone
il riso. Abbiamo
già detto (tragedia) che anche la
commedia, come la tragedia, era collegata, sia nelle sue origini sia
nelle circostanze delle rappresentazioni, con feste e riti religiosi, e
che si presentava come uno spettacolo misto di poesia, musica, canto e
danza, eseguito da attori e da coreuti che portavano la maschera.
Vediamo ora le principali differenze tra i due generi drammatici:
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2. Etimologia del termine komodìa |
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Quanto
abbiamo detto finora vale per la forma del genere comico che conosciamo
meglio: la commedia attica, che fiorì ad Atene a partire
dall'inizio del V secolo a.C. Le sue origini remote (assai oscure)
risalgono a feste agresti e ai riti dionisiaci della fertilità e della
fecondità: l'ipotesi più probabile sull'etimologia del termine greco komodìa
(da cui il latino comoedia) lo fa derivare da kòmos («corteo»,
«processione») e odè («canto»), cioè «canto del corteo dei
devoti di Dioniso»: il coro sarebbe stato il nucleo originario di
questa, come dell'altra forma teatrale, la tragedia.
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3. Il dramma dorico: Epicarmo | |
Sulla
formazione, in età storica, e sulla caratterizzazione della commedia
attica esercitò un influsso sicuramente rilevante, anche se
difficilmente valutabile per la scarsità della documentazione oggi
disponibile, il genere parallelo del «dramma» dorico, il Epicarmo
- che fu molto apprezzato anche da Platone - scrisse dràmata
(così li chiama Aristotele), commedie o farse in versi, di cui
conserviamo solo titoli e frammenti. Vi aveva largo spazio, insieme alla
rappresentazione realistica della vita quotidiana, anche la parodia
mitologica, con una spiccata preferenza per i personaggi di Eracle
(= Ercole) e di Odisseo (= Ulisse), protagonisti di avventure ispirate
al mito, ma comicamente e grottescamente deformate: Eracle, per esempio,
era presentato come un formidabile mangiatore e bevitore e dava spunto a
iperboliche descrizioni e rappresentazioni di scorpacciate e di
bisbocce. Caratteristica dei drammi epicarmei era anche la sentenziosità, tanto che furono compilate ben presto raccolte di gnòmai (= sentenze, massime di carattere generale) estrapolate dalle commedie e tramandate separatamente (lo stesso fenomeno si verificherà poi per le commedie di Menandro, anch'esse ricchissime di sentenze). |
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4. La commedia attica | |
Tornando
alla commedia attica, ricordiamo che i filologi di età ellenistica (III
secolo a. C.) distinsero tre fasi o momenti successivi nella sua
evoluzione: la commedia «antica» (greco archàia),
quella «di mezzo» o «mediana» (greco mese) e la
commedia «nuova» (greco néa), rappresentate ciascuna da
decine di autori, la cui imponente produzione è andata quasi
completamente perduta. Gli
antichi - sempre inclini ad istituire «canoni», cioè elenchi di
autori eccellenti nei vari generi letterari - indicarono i massimi
rappresentanti dell'archàia e della néa in due triadi di
poeti: per la commedia antica Cràtino, Èupoli, Aristófane (attivi ad
Atene nella seconda metà del V secolo a. C.), per la commedia nuova Filèmone,
Dífiio, Menandro (IV-III secolo a. C.). Gli unici commediografi greci
di cui possiamo leggere oggi opere intere sono i due massimi esponenti,
rispettivamente, dell'archàia e della nèa: Aristofane e
Mlenandro; mentre degli altri si conservano soltanto frammenti,
abbastanza numerosi ma per io più di breve o brevissima estensione.
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5. Aristofane |
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Di
Aristófane (445-385 circa a. C.) ci sono state tramandate undici
commedie (Acarnesi, Cavalieri,
Nuvole, Vespe, Pace,
Uccelli, Lisistrata,
Tesmoforiazùse, Rane, Ecclesiazùse, Pluto), i cui argomenti sono
strettamente connessi con l'attualità politica ateniese. Al
centro degli interessi del poeta e del suo pubblico sono infatti le
vicende ed i problemi dell'Atene contemporanea: la guerra del
Peloponneso, che contrappose Atene a Sparta per quasi trent'anni (431-402
a. C.: appunto in questo periodo fu rappresentata la maggior parte delle
commedie di Aristofane che conserviamo); gli scontri fra il partito
della guerra e quello della pace; i mali e i pericoli della demagogia;
la corruzione e il malcostume dominanti nella vita politica e
giudiziaria; i rischi di degenerazione morale insiti nel nuovo programma
educativo proposto dal movimento sofistico (e che il commediografo nelle
Nuvole attribuisce a Socrate), ecc. La
potente carica fantastica ed espressiva di Aristofane è al
servizio del suo impegno civile che si manifesta - secondo i moduli
propri del genere comico - nella ridicolizzazione degli avversari
(gruppi di potere, correnti d'opinione, singoli individui), attaccati
con tutte le armi dell'aggressione comica: la satira pungente, la
caricatura grottesca, il sarcasmo feroce, la beffa, l'invettiva, il
dileggio e anche l'insulto personale: l'abitudine di attaccare
violentemente e direttamente singole persone, chiamandole per nome, era
tipica, appunto, della commedia antica; Aristofane segue questo uso, così
come ricorre volentieri al turpiloquio, allo scherzo becero, al doppio
senso osceno.
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6. La commedia nuova. Menandro |
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Diversissima
dalla commedia antica, nei temi e nello stile, è la néa
che - dopo la parentesi della mése, di cui sappiamo molto poco -
tocca il suo culmine con Menandro (342-291 a. C.), quasi un secolo dopo
Aristofane. Di Menandro si conservavano, sino alla fine dell'Ottocento,
solo brevi frammenti citati in altri autori antichi e una raccolta di
«sentenze». Fortunati ritrovamenti di papiri ci permettono oggi di
leggere una commedia intera (Dyskolos:
«misantropo»)
e spezzoni abbastanza ampi di una decina di altre commedie (fra cui ricordiamo
L'arbitrato, La donna di Samo, La donna tosata, Lo
scudo). La
produzione di Menandro rispecchia un contesto storico, politico e
culturale profondamente mutato rispetto all'Atene di Aristofane: in
seguito al declino delle strutture e della pòlis
dopo
Ia conquista della Grecia da parte di Alessandro Magno, la politica non
appassiona più il pubblico ateniese; e il dibattilo intellettuale - di
cui la commedia continua a farsi tramite, essendo in Grecia
istituzionalmente e tradizionalmente assegnata al teatro la funzione non
solo di intrattenere e divertire, ma anche di ammaestrare ed educare il
pubblico - si sposta su temi psicologici e morali, sui problemi
della vita quotidiana, specialmente per ciò che concerne le
relazioni degli individui con l'ambiente famigliare e sociale.
Vengono alla ribalta vicende di giovani innamorati ostacolati nei loro
amori dalla severità di padri autoritari ed avari; tensioni e
turbamenti fra giovani coniugi causati dalla gelosia, da incomprensioni
o da equivoci; storie complicate di fanciulle «esposte» (cioè
abbandonate subito dono Ia nascita, secondo una pratica frequente
nell'antichità) o rapite dai pirati e vendute a lenoni (=mercanti e
sfruttatori di prostitute) che, dopo una serie di vicissitudini,
ritrovano i genitori e possono sposare i giovani che le amano.
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7. Le trame e il messaggio morale |
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Le
trame sono molto complicate ma anche molto ripetitive;
potremmo definirle romanzesche per gli elementi avventurosi, le
peripezie, i colpi di scena, costituiti specialmente dai «riconoscimenti»
inaspettati e risolutori (del resto il genere del romanzo è
strettamente imparentato con la commedia). Su tutto domina la Fortuna:
ad essa si deve, di regola, lo scioglimento felice, immancabile, come
sappiamo, in un genere che ha la funzione di rasserenare il pubblico,
trasmettendogli un messaggio ottimistico e consolatorio,
facendolo evadere, sia pure solo per breve tempo, in una dimensione in
cui (per esprimerci con termini desunti dalla psicanalisi) il principio
di piacere trionfa sul principio di realtà. Ma
la commedia menandrea convoglia anche un chiaro, pur se spesso
implicito, messaggio morale: il lieto fine appare come la
meritata ricompensa di comportamenti mirati alla ragionevolezza, al
senso della misura, ai buoni sentimenti; al di là dei casi fortuiti,
che non dipendono dall'uomo, e nonostante gli inevitabili errori in cui
chiunque può incorrere, le difficoltà si superano - dice o suggerisce
il commediografo -, i contrasti si appianano e l'armonia famigliare
viene ricomposta, se ciascuno è disposto a riconoscere i propri limiti,
ad ammettere i propri torti e a dimostrare comprensione e indulgenza
verso le debolezze e le colpe altrui: la vita può essere più piacevole
e serena grazie alla «filantropia» (=disposizione benevola
verso il prossimo), all'amicizia, alla solidarietà e alla tolleranza
reciproche. Coerentemente
con l'intento moralistico ed edificante, la comicità menandrea
è misurata e pacata, non oltrepassa mai i limiti della decenza e
del buon gusto. All'aggressività graffiante e corrosiva, alla violenza
verbale della commedia antica subentrano un umorismo sorridente e mai
volgare, l'arguzia bonaria, l'ironia sottile.
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8. I personaggi |
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Per
quanto riguarda i personaggi, essi sono il risultato di un processo
di tipizzazione iniziatosi già con l'archaia e che porta ai
formarsi di caratteri convenzionali, dotati di tratti costanti
(che Menandro peraltro interpreta con duttilità e con spiccata tendenza
all'approfondimento psicologico): il vecchio padre severo e
attaccato al denaro; il giovane perdutamente innamorato e
sprovveduto, oppure scapestrato e senza mezzi, e dunque sempre bisognoso
dell'aiuto di amici comprensivi e di servi astuti; la cortigiana
avida e sfacciata, capace però anche di buoni sentimenti e di
generosità; il soldato rozzo, prepotente e spaccone; lo schiavo
pigro e pauroso, ma al tempo stesso intelligente e scaltro, che
trama ai danni del padrone vecchio per aiutare il padroncino; il lenone
empio e crudele; oltre a vere e proprie «macchiette» con funzione
esclusivamente comica, come il cuoco spavaldo e gradasso, o il parassita
adulatore e ingordo.
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9. Differenze rispetto alla commedia antica |
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Rispetto
all’archaia, gli intrecci
sono costruiti con maggior cura e con maggior preoccupazione per la verosimiglianza.
Scompaiono gli elementi fantastici, paradossali, surreali, che
abbondavano in Aristofane (dove, per esempio, il coro di alcune commedie
è
costituito da vespe, uccelli, rane, nuvole). La commedia di Menandro è
definita dagli antichi imitazione perfetta della vita comune. Non è
certo una definizione da prendere alla lettera. Anche nella commedia
nuova permane una serie di convenzioni tipicamente teatrali,
impensabili al di fuori della finzione scenica e dello speciale rapporto
che s'instaura fra il palcoscenico e gli spettatori: i monologhi, le
battute «a parte» (che un personaggio pronuncia ad alta voce senza
essere sentito dagli altri personaggi presenti sulla scena), l'apostrofe
rivolta direttamente al pubblico specialmente - ma non soltanto - nei
prologhi e negli epiloghi, ecc. Ma è evidente l'aspirazione alla
verosimiglianza, oltre che nello stile pianamente colloquiale, anche
nella ricerca della naturalezza sul piano della caratterizzazione
psicologica, e della coerenza su
quello della costruzione ed
articolazione dell'intreccio. Nella
stessa direzione porta la drastica riduzione, fino
all'eliminazione quasi totale, dell'elemento lirico-musicale,
legato in Aristofane soprattutto alla presenza del coro. Quest'ultimo,
nella néa, praticamente scompare; i canti corali - che erano
nella commedia antica le parti più impegnate ideologicamente, più
esplicitamente e scopertamente politiche - si trasformano in semplici
intermezzi (o interludi) fra un atto e l'altro, puri riempitivi senza
rapporto con l'azione scenica (tanto che il testo dei canti corali non
viene neppure riportato dai papiri che conservano le commedie menandree).
Il metro di gran lunga dominante è il trimetro giambico, cioè il verso
tipicamente dialogico, proprio delle parti semplicemente recitate, senza
accompagnamento musicale. |