Tempi e modi delle rappresentazioni teatrali a Roma

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1. L'organizzazione degli spettacoli

L'organizzazione degli spettacoli teatrali non era lasciata alla libera iniziativa di autori e compagnie, ma era specifico compito  degli aediles o in qualche caso del praetor urbanus, i quali se ne servivano volentieri come mezzo di propaganda elettorale e non di rado vi profondevano anche del proprio denaro, pur di assicurarne la migliore riuscita. Questo comportava necessariamente l'esercizio di un certo condizionamento da parte del potere politico sulla libertà di pensiero degli autori. In genere, i magistrati acquistavano personalmente il dramma dall'autore (il quale, non raramente, per favorire l'acquisto, viziava l'opera di sottintesi adulatori) e stipulavano una specie di contratto col "capocomico", al quale pagavano una parte delle spese necessarie all'allestimento scenico, salvo a farsi rimborsare in caso d'insuccesso (dunque, a ben vedere, il rischio maggiore gravava proprio sul "capocomico"). Da precisare, infine, che non esisteva alcuna forma di tutela continuativa del diritto d'autore, poiché - con la vendita - l'autore stesso perdeva ogni diritto sulla sua commedia.

 

2. Attori e compagnie

La professione dell’attore era prestigiosa in Grecia, ma non a Roma: qui, gli attori (grex) di drammi "regolari" erano schiavi o liberti, mentre quelli delle Atellanae erano uomini liberi. Essi si dividevano in due categorie principali: gli histriones e i mimi. Quasi certamente soltanto con Roscio (I s. a.c.) si riuscì a riabilitare tale professione. Riguardo i primi attori illustri, di Livio Andronico sappiamo che fu anche prim'attore dei suoi drammi; lo stesso Plauto fu forse in gioventù attore di atellane, mentre è incerto se abbia recitato nelle sue commedie; Stazio e Terenzio, quasi certamente, non calcarono mai le scene. Delle compagnie teatrali (catervae) facevano parte il dominus gregis (capocomico), il conductor (direttore delle prove) e il choragus, una sorta di tuttofare che forniva i costumi e provvedeva alla messinscena.

 

3. I costumi

I costumi cambiavano a seconda del genere teatrale: commedia, tragedia e atellana. Per tutte le rappresentazioni di ambientazione greca gli histriones vestivano abiti che richiamavano molto da vicino gli omologhi ateniesi: il pallium (da cui il termine palliata per designare sia commedie che tragedie di questo tipo) e i cothurni, una speciale calzatura greca, che accresceva la statura e la dignità dell'attore (da cui il termine cothurnata, sempre per designare tragedie d'argomento greco); nelle commedie si adoperava invece una calzatura più "umile" e bassa, il soccus. Per le rappresentazioni di ambientazione romana, gli attori indossavano la classica toga (da cui il termine togata per designare commedie di questo tipo), talora praetexta (l'abito tipico dei magistrati), se si trattava di rappresentazioni a contenuto tragico. Anche il colore delle vesti, insomma, insieme con altri "accessori" ancora, serviva a caratterizzare i personaggi secondo la loro funzione. A tal scopo, i costumi di certi attori - al di là dello stesso pallium - erano quasi sempre gli stessi, sicché era facile riconoscerli al loro primo apparire sulla scena: così, il soldato portava la spada e la clamide, il messaggero il tabarro e il cappello, il villano la pelliccia, il parassita il mantello, il popolano il farsetto. Come già accennato, poi, i ruoli femminili (tranne che nei mimi) erano sostenuti da attori maschi. Infine, anche i mimi stessi avevano un loro abbigliamento tipico e stabile, che permettesse d'inquadrare immediatamente i "tipi" ch'essi interpretavano: ad es., il mimus albus, vestito tutto di bianco e il mimus centuculus, dall'abbigliamento al contrario multicolore.

toga praetexta

 

4. Le maschere

Le maschere romane, sul modello di quelle greche, erano di legno o più semplicemente di tela, con applicata una capigliatura: il loro uso facilitava l’interpretazione degli attori, non solo perché essi dovevano impersonare più ruoli, o personaggi di aspetto simile, ma anche perché i tratti del viso erano esagerati (e dunque potevano meglio essere rilevati dagli spettatori) e la bocca era fatta in modo da rafforzare il suono della voce (ut per-sonaret, da cui - secondo alcuni - deriverebbe il termine con cui la designavano Romani, persona): cose, queste, rese necessarie dalla ordinaria vastità degli antichi teatri.

Un problema particolare, poi, è rappresentato dalla "controversa" origine della stessa maschera e del suo effettivo uso: se è data oramai quasi per scontata la sua derivazione, originaria e "funzionale", dagli Etruschi (tanto che il termine persona, secondo altri, le proverrebbe addirittura dal dio etrusco Phersus), e se si può attestare (con una certa sicurezza) che il suo uso era d'obbligo nella tragedia, non altrettanto certo ne appare l'uso nella commedia (anche se ciò non spiegherebbe come gli attori ovviassero a quei casi in cui occorrevano sulla scena due personaggi di aspetto perfettamente identico): si è ipotizzato, quindi, ch'essa sia stata introdotta nella commedia solo nel 130 a.C., dal "capocomico" Minucio Protimo, e che il suo uso fosse stato definitivamente "stabilizzato" solo grazie al già citato Roscio.

Attori comici (mosaico da Pompei, Napoli, Museo archeologico) Maschera tragica e comica (mosaico, Roma, Musei Capitolini)
Attore comico (New York, Metropolitan Museum of Art) Attore comico (London, British Museum) Attore comico (Atene, Museo Nazionale Archeologico)

 

5. I personaggi della palliata

I personaggi della commedia palliata erano dei "tipi" fissi; tra le figure maschili emergono: quella del padre, ora severa, ora bonaria, ora libertina; quella del giovane, sempre caratterizzata dall'amore per un'avvenente schiava o cortigiana e dalla mancanza di mezzi ed espedienti per soddisfare la propria passione; quella del soldato, sempre contraddistinta dalla spacconeria; quella dello schiavo, la più variamente atteggiata e completa: vi sono schiavi astuti, vivaci, intelligenti, sinceramente affezionati ai padroncini, per aiutare i quali non esitano a turlupinare i vecchi padroni.

Tra le figure femminili, ci sono: quella della moglie, sempre gelosa; quella ripugnante della ruffiana; quella della bella schiava, che fa spasimare; quella della cortigiana, che vuole spillare denaro; la figura della madre appare poco, ma il poeta, quando la presenta, sente il bisogno di circondarla di quell'aureola di onestà che era tipica della santità dei costumi domestici della famiglia romana.

 

6. La musica

Suonatori di strada (sulla sinistra la tibia)

Alla musica, all'interno dello spettacolo, era affidata una funzione importantissima: il flautista (tibicen) accompagnava, con apposite melodie, gli attori nelle parti declamate e dialogate (diverbia) o cantate (cantica), tranne in quelle in senari giambici (sembra che i primi suonatori siano venuti a Roma dall'Etruria). L'accompagnamento, ch'era più di un semplice "corredo" musicale, veniva fatto con la tibia: questa era semplice o doppia (costituita, cioè, da due tubi di lunghezza variabile) e si distingueva in dextera e sinistra, a seconda che era suonata tenendola appunto con la destra o la sinistra, o imboccandola dal lato destro o sinistro della bocca. In realtà, l'indicazione finiva col designare il diverso tono dello strumento, rispettivamente l' "alto" e il "basso": poi, i suoni più gravi, ottenuti con tibie di uguale lunghezza, si addicevano maggiormente alle parti "serie" della commedia, mentre quelli più acuti, ottenuti con tibie di diversa lunghezza, si addicevano alle parti più comiche.

L’accompagnamento del musico aveva, inoltre, delle convenzioni molto rigide (il pubblico era in grado di capire il personaggio che sarebbe entrato, o cosa sarebbe accaduto dalla sola musica di introduzione) e accompagnava lo spettacolo dall’inizio alla fine spostandosi, a volte, insieme ai personaggi. Purtroppo, la musica del teatro romano è andata tutta perduta, e non si è in grado di ricostruire in alcun modo, per quest'aspetto, lo spettacolo: grave lacuna, che c'impedisce di valutare appieno la natura e il carattere del teatro romano comico e tragico.

 

7. L'edificio scenico

Il teatro ci si presenta, oggi, come una delle più originali e feconde realizzazioni dell'architettura romana; eppure, i Romani cominciarono a costruire veri e propri edifici teatrali (cioè, in muratura) soltanto nel 30 a.C., mentre - prima di questa data - le strutture che ospitavano gli spettacoli erano provvisorie, di legno e appositamente costruite per i diversi eventi, spesso erette nel circo o davanti ai templi di Apollo e della Magna Mater. I primi teatri "stabili", comunque, riproducono più o meno la struttura dei teatri greci, anche se con alcune importanti modifiche. La passione dei romani per generi di spettacolo molto importanti e "ingombranti", rese ben presto necessaria la creazione di luoghi adeguati che potessero ospitarli. Tale necessità è evidentemente all’origine della ideazione e costruzione degli Anfiteatri il cui maggiore esempio è per tutti l’Anfiteatro Flavio (Colosseo).

Il teatro romano di età augustea e imperiale, così, a differenza di quello greco (vedi qui), si presenta come edificio a pianta semicircolare, costruito su terreno pianeggiante (non appoggiato su un declivio come quello greco), chiuso da mura perimetrali di uguale altezza che collegano la cavea (le gradinate per gli spettatori) con la scena monumentale di struttura architettonica, dinanzi alla quale si apre il palcoscenico (pulpitum), basso ma profondo (nel teatro greco, invece, fino al IV sec. a.C. non esisteva palcoscenico, e gli attori agivano, insieme col coro, nell' "orchestra" circolare). Questa forma "chiusa" rendeva possibile anche la copertura dell'intero edificio con un velarium, per riparare gli spettatori, prefigurandosi chiaramente come il prototipo dell'edificio teatrale moderno. Vedi qui: teatri a Roma e teatri a Pompei.

 

8. Le scene

Le notizie relative alla scenografia romana si basano principalmente sulle testimonianze di Vitruvio. Da queste, sembrerebbe che il teatro romano, almeno all'inizio, non presentasse una scenografia molto complessa, e che fossero piuttosto gli attori ad evocare, con i loro dialoghi, ambienti e circostanze diverse. Di sicuro, comunque, gli elementi scenografici sempre presenti erano:

  1. il proscenium, in legno, che comprendeva ciò che noi oggi chiamiamo propriamente scena, ossia quella parte anteriore, dove gli attori recitano: esso raffigurava, in genere, una via o una piccola piazza;

  2. la scenae frons (il nostro fondale), costituita da una parete dipinta, con un’architettura simile alla facciata di un edificio, nella quale si aprivano diversi ingressi (due o tre porte) utilizzati dagli attori: se si tiene conto dei passaggi laterali, le possibili uscite erano quattro o cinque. Comunque, mentre quelle sullo sfondo raffiguravano, per così dire, gli interni della vicenda, le due laterali raffiguravano, rispettivamente, quella di destra (dal punto di vista degli spettatori) la via che portava al foro, quella di sinistra la via che portava al porto (i due luoghi, cioè, più importanti della città, dal punto di vista rispettivamente politico-giuridico e commerciale). La convenzione teatrale prevedeva, poi, pressoché stabilmente, che dietro le case, le cui porte si vedevano sul fondale, ci fosse un vicoletto (angiportum), che permetteva di raggiungere le case stesse attraverso il giardino, e comunque per il retro;

  3. i periaktoi, di derivazione greca, prismi triangolari rotabili con i lati dipinti con una scena tragica su un lato, comica su un altro e satiresca sul terzo;

  4. l’auleum, un telo simile al nostro attuale sipario (attestato con sicurezza solo dall'epoca di Cicerone, e sconosciuto invece ai Greci), che consentiva di rivelare improvvisamente, lasciato cadere dall’alto, una nuova scena. Secondo altri studiosi, invece, questo sipario non veniva calato dall'alto, bensì sollevato dall'alto, e non veniva usato per distinguere un atto dall'altro, ma solo alla fine della commedia.

 

9. Gli spettatori

Il pubblico a cui il teatro romano si rivolgeva non era (a differenza di quello greco) colto e raffinato, né ancora educato agli ideali dell'urbanitas, né tantomeno socialmente omogeneo: anzi, era prevalentemente plebeo, perché alle rappresentazioni, che erano organizzate dallo stato, potevano accedere tutti, senza alcuna distinzione sociale. Di conseguenza, bisogna sottolineare come fosse difficile attirare l'attenzione di una simile platea, sia per la sua irrequietezza, sia perché - contemporaneamente alle rappresentazioni teatrali - venivano dati anche spettacoli di circo ed esibizioni di giocolieri: gli spettatori dimostravano preferire, insomma, l'intreccio avventuroso, i duelli verbali preferibilmente scurrili, una scena movimentata da ballerini e cantanti e, di conseguenza, policromia stilistica e polimetria. La genialità di Plauto consistette proprio nell'adattare le forme culturalmente più "mature" del teatro greco a queste grossolane esigenze indigene: di qui, si spiega il suo clamoroso successo. Di contro, si spiegano altrettanto facilmente i continui e dolorosi flop delle rappresentazioni delle opere di Terenzio, che puntava su una caratterizzazione meno pacchiana e più intima e psicologica dell'intreccio (ridotto peraltro al minimo), mal accetto da un pubblico non ancora pronto a questa "raffinata" evoluzione.

 
10. Le ricorrenze

Anche a Roma, come in Grecia, la maggior parte dell’attività teatrale si svolgeva nel corso delle feste a carattere religioso e, anche se più raramente, in occasione di vittorie militari, consacrazione di pubblici edifici, o per i funerali di importanti personalità. Con la fondamentale differenza che mentre ad Atene la partecipazione agli spettacoli rappresentava per il pubblico il momento più alto ed intenso di un'esperienza insieme religiosa etica e politica, per il pubblico romano fu sostanzialmente divertimento, sia pure di tono più o meno elevato.

I Romani, precisamente, dedicavano alle diverse divinità alcuni giorni fissi dell’anno, durante i quali organizzavano, oltre alle celebrazioni di rito, anche (appunto) spettacoli teatrali, che di quelle celebrazioni fossero ornamento e completamento. Definivano tali periodi Ludi, accompagnati da un aggettivo che derivava o richiamava in qualche modo la divinità che si celebrava; così, i più importanti di questi ludi erano:

  • ludi Romani, di antichissima istituzione, che si celebravano in settembre, in onore di Giove Ottimo Massimo, nel Circo Massimo (proprio nella ricorrenza del 240 a.C., avvenne la già ricordata rappresentazione liviana); alla loro organizzazione erano preposti gli edili curuli;

  • ludi plebei, istituiti nel 220 a.C., che avevano luogo in novembre nel Circo Flaminio, pure in onore di Giove e per commemorare la riconciliazione del patriziato con la plebe, dopo la famosa secessione dell'Aventino; a partire dal 200, vi furono introdotte le rappresentazioni drammatiche, inaugurate con lo Stichus di Plauto; alla loro organizzazione erano preposti gli edili plebei;

  • ludi Apollinares, istituiti nel 212 a.C.; si svolgevano in luglio, presso il tempio di Apollo (per commemorarne un oracolo) e furono dotati sin dall'inizio di spettacoli scenici; alla loro organizzazione era preposto il pretore urbano;

  • ludi Megalenses, in onore della Magna Mater; istituiti nel 204 a.C. (aprile), furono arricchiti di ludi scaenici a partire dal 194; alla loro organizzazione erano preposti gli edili curuli;

  • ludi Florales in onore di Flora: in essi predominavano gli spettacoli di mimi (dal 28 aprile al 3 maggio); alla loro organizzazione erano preposti gli edili plebei.

  • E' stato così calcolato che a Roma c'erano, in media, almeno 11 o 17 giorni di spettacolo all'anno. E questi solo riguardo le occasioni suddette, che potremmo definire ordinarie. Il numero di festività è destinato invece ad accrescersi, e di molto, se a quelle si aggiungono le numerosissime occasioni straordinarie (che comprendevano naturalmente anch'esse rappresentazioni teatrali), ovvero, ad es.: ludi votivi, per circostanze particolari dello stato; ludi funebres, per celebrare la morte di qualche illustre cittadino; ludi triumphales, per celebrare un trionfo militare.

    A ciò si aggiunga, ancora, un fenomeno tipico e particolare, quello della instauratio: quando, cioè, la celebrazione era viziata da qualche infausto imprevisto, o - per un motivo o per un altro - non riusciva particolarmente bene, era valutata la facoltà di ripetere letteralmente la festa, con tutti gli annessi e connessi. E non raramente si utilizzò cavillosamente questo escamotage per riproporre in replica spettacoli e rappresentazioni, che avevano particolarmente entusiasmato i Romani.

    Esistevano, infine, anche compagnie di dilettanti che, in occasione di celebrazioni religiose anche non ufficiali, davano rappresentazioni in tutto il corso dell'anno, quindi anche al di fuori delle scadenze previste dai vari ludi.

    per il testo © nuzio castaldi (www.progettovidio.it)