3. Lo scontro tra papato e impero
 

Inevitabile dissidio tra papato e impe­ro. Come riconoscimento ufficiale di ciò che aveva fatto in difesa della Chiesa, Car­lo Magno era stato consacrato imperato­re dallo stesso pontefice, dando vita al Sacro romano impero. Il gesto di Leone III intendeva essere una manifestazione pubblica della preminenza del pontefice sull'imperatore, subordinando di fatto la nomina imperiale al papa. Negli anni suc­cessivi, questo delicato equilibrio di pote­re si spezzò, giacché gli imperatori, come protettori della Chiesa, cominciarono a pretendere di nominare i vescovi e di inter­venire nelle elezioni dei papi, mentre que­sti ultimi, in quanto destinati a incoro­nare l'imperatore, rivendicarono la supe­riorità del potere ecclesiastico su quello imperiale. Fu nella notte di Natale dell'800, quindi, che venne gettato il seme del futu­ro dissidio fra Chiesa e Stato.

I vescovi-conti. L'impero non soprav­visse alla morte di Carlo (814) e sulle sue rovine sorsero i primi regni feuda­li, le cui vicende dettero vita a quella che viene definita l'anarchia feudale. Fu Ottone I di Sassonia (962-973), giunto al massimo della sua fama dopo aver sconfitto gli Ungari e gli Slavi, a ricostituire il Sacro romano impero, ma in veste germanica: a differenza di quel­lo carolingio, esso escludeva la Francia e gravitava intorno alla Germania. Otto­ne I tentò di far valere la superiorità imperiale nei confronti dell'altro gran­de potere universale, il papato. Per ren­dere la sua autorità veramente effettiva anche nei confronti della grande nobiltà laica, egli valorizzò la feudalità ecclesia­stica, molto potente in Germania, con­ferendo a vescovi e abati l'autorità civi­le e militare nei territori loro affidati. In tal modo si annullava l'efficacia del­la legge sull'ereditarietà dei feudi. Con il suo provvedimento egli contrappose ai feudatari laici, che si trasmettevano di padre in figlio il governo di vasti territori, i feu­datari ecclesiastici, i cosid­detti vescovi-conti, alla cui morte i feudi rientravano a far parte del patrimo­nio della corona. Otto­ne I inoltre si riservò il diritto di decidere la nomina del pontefice (privilegio ottoniano).

 

Gli imperatori della casa di Sassonia

 

 

Ottone I (962-973)

Ottone II (973-983)

Ottone III (983-1002)

Enrico II (1002-1024)

- sostiene l'autorità pontificia (privile­gio ottoniano)

- concede i feudi agli ecclesiastici (vescovi-conti)

- estende il proprio potere sull'Italia

- segue la politica paterna

organizza una campagna contro Arabi e Bizantini per la conquista dell'Italia meridio­nale

 

 

 

- cerca di fare di Roma il centro dell'impero e di restaurare l'antico impero romano

 

 

 

 

- lotta all'interno per il rafforzamento dell'impero

cerca di affermare la superiorità del regno di Germa­nia sugli altri Stati europei

 

 

 

 

L'imperatore Ottone II, che regnò dal 973 e il 983, continuò la politica di restaurazione imperiale intrapresa da Ottone I, tentando la conquista dell'Italia meridionale e continuando a favorire i vescovi-conti.

L'imperatore è ritratto seduto in trono e regge le insegne del potere sia temporale sia spirituale.

Le figure al fianco dell'imperatore simboleggiano le province della Slavonia, della Gallia, della Germania e di Roma.

Il globo con la croce è il simbolo del potere spirituale.

Lo scettro è il simbolo del potere temporale.

(miniatura del X sec.; foglio inserito nel Registrum Gregorii)

 

Decadenza della chiesa. L’iniziativa di Ottone I rafforzò la struttura del­l'impero e accrebbe l'importanza delle città, sedi dei vescovi, ma allo stesso tempo provocò un rapido decadimen­to morale e spirituale della Chiesa, i cui alti prelati, tutti presi da preoccu­pazioni politiche e mondane, andaro­no sempre più allontanandosi dal com­pito morale e religioso loro affidato. Inoltre l'istituzione dei vescovi-conti comportò l'inevitabile intrusione dell’'imperatore nella vita della Chiesa, che si trovava sempre più assoggettata all'impero. Da Ottone I in poi, infat­ti, i sovrani cominciarono ad attribui­re, oltre all'investitura laica con lo scet­tro, anche quella ecclesiastica, con il pastorale. La pesante ingerenza impe­riale, persino nell'elezione del pontefi­ce, determinò un'energica reazione da parte della Chiesa, scatenando la cosid­detta "lotta per le investiture". Tale con­flitto di potere si intrecciò con una situa­zione di grave corruzione del clero, cui cercarono di opporsi forze riformatrici laiche ed ecclesiastiche, come gli ordini riformatori dei cluniacensi e dei cister­censi, i movimenti eremitici, come quello dei camaldolesi e dei vallom­brosani, e le organizzazioni laiche cit­tadine: in questo processo di moraliz­zazione del clero il monastero fran­cese di Cluny ebbe un ruolo fon­damentale.

La casa di Franconia e l’infeudamen­to della chiesa. Nel 1024, in Germa­nia, con la morte di Enrico II, ultimo discendente della dinastia sassone degli Ottoni, il potere passò alla casa di Fran­conia, i cui rappresentanti ressero fino al 1125 le sorti dell'impero, portando il processo di infeudamento della Chiesa alle sue estreme conseguenze. Quando però nel 1056 salì al trono il figlio di Enrico III, Enrico IV ancora minoren­ne, i fautori della riforma della Chiesa colsero l'occasione per dare inizio a un'o­pera di radicale rinnovamento dei costu­mi del clero e per sottrarre la Chiesa alla supremazia imperiale.

 

Gli imperatori della casa di Franconia

 

 

Corrado II (1004-1039)

Enrico III (1039-1056)

Enrico IV (1056-1105)

Enrico V (1106-1125)

- sostiene i piccoli feudatari e conce­de con la Consti­tutio de feudis l'e­reditarietà dei feu­di minori

- ottiene il diritto di designare il ponte­fice (Principatus in electione papae)

- in aperto conflitto con Gregorio VII, viene scomunica­to: lotta per le investiture. Costringe papa Gregorio VII a fug­gire da Roma

- stipula con Callisto II il concordato di Worms

 

 

Verso l’autonomia del papato. Tra que­sti, accanto al monaco Pier Damiani, che proprio in quegli anni condannava con parole infuocate la corruzione eccle­siastica, ebbe un ruolo di primo piano Ildebrando di Soana (Grosseto), un monaco benedettino formatosi alla scuo­la di Cluny, convinto assertore della riforma e autorevolissimo consigliere di pontefici. Quando nel 1058 il partito riformatore riuscì a far nominare papa uno dei propri esponenti, Niccolò II, vescovo di Firenze, Ildebrando lo con­vinse a rivendicare l'autonomia del papa­to rispetto all'autorità imperiale e a ottenere ­che l'elezione del pontefice non avvenisse più secondo la volontà dell’imperatore, ma per libera scelta del collegio dei cardinali. Il Concilio latera­nense, convocato da Niccolò II nel palaz­zo Laterano (1059), stabilì l'istituzione di un collegio di cardinali per l’elezione del papa e ribadì la condanna della simonia e del concubinato del clero.

L'attività riformatrice di Gregorio VII e i Dictatus papae. L’opera di riforma intrapresa dalla Chiesa si fece ancora più rigorosa, trasformandosi in aperto con­flitto contro l'impero, quando nel 1073 lo stesso Ildebrando di Soana venne elet­to papa con il nome di Gregorio VII. Pochi anni prima Enrico IV, raggiunta la maggiore età, aveva iniziato a gover­nare e aveva assunto - fedele alla linea politica dinastica - un contegno di aper­ta sfida verso la Chiesa, eleggendo a suo piacimento vescovi e abati, cui poi con­cedere feudi. Gregorio VII reagì minacciando la scomunica e riaffermando, con i Dictatus papae («Pre­cetti del papa», 1075), l'assoluta superiorità del papa su ogni altra potestà terrena e il suo diritto di giudicare e deporre i vescovi e lo stesso imperatore, eso­nerando così i suddi­ti da ogni vincolo di sottomissione e di obbedienza all'auto­rità imperiale. Quan­do Enrico IV, per tut­ta risposta, fece depor­re i vescovi tedeschi fedeli al papa, Gregorio VII non esitò a scomunicarlo, pro­vocando la rivolta dei suoi feudatari. L'imperatore, esautorato agli occhi dei suoi sudditi, fu costretto a implorare dal papa, ospite a Canossa di Matilde di Toscana, la revoca della scomunica (1077); il potere laico si piegava dunque al pote­re ecclesiastico, ma il conflitto tra papa­to e impero si protrasse ancora anni.

 

Dictatus Papae

I. Quod Romana ecclesia a solo Domino sit fundata.

II. Quod solus Romanus pontifex iure dicatur universalis.

III. Quod ille solus possit deponere episcopos vel reconciliare.

IIII. Quod legatus eius omnibus episcopis presit in concilio etiam inferioris gradus et adversus eos sententia depositionis possit dare.

V. Quod absentes papa possit deponere.

VI. Quod cum excommunicatis ab illo inter cetera nec in eadem domo debemus manere.

VII. Quod illi soli licet pro temporis necessitate novas leges condere, novas plebes congregare, de canonica abbatiam facere et e contra, divitem episcopatum dividere et inopes unire.

VIII. Quod solus possit uti imperialibus insigniis.

VIIII. Quos solius pape pedes omnes principes deosculentur.

X. Quod illius solius nomen in ecclesiis recitetur.

XI. Quod hoc unicum est nomen in mundo.

XII. Quod illi liceat imperatores deponere.

XIII. Quod illi liceat de sede ad sedem necessitate cogente episcopos transmutare.

XIIII. Quod de omni ecclesia quocunque voluerit clericum valeat ordinare.

XV. Quod ab illo ordinatus alii ecclesie preesse potest, sed non militare; et quod ab aliquo episcopo non debet superiorem gradum accipere.

XVI. Quod nulla synodus absque precepto eius debet generalis vocari.

XVII. Quod nullum capitulum nullusque liber canonicus habeatur absque illius auctoritate.

XVIII. Quod sententia illius a nullo debeat retractari et ipse omnium solus retractare possit.

XVIIII. Quod a nemine ipse iudicari debeat.

XX. Quod nullus audeat condemnare apostolicam sedem apellantem.

XXI. Quod maiores cause cuiuscunque ecclesie ad eam referri debeant.

XXII. Quod Romana ecclesia nunquam erravit nec imperpetuum scriptura testante errabit.

XXIII. Quod Romanus pontifex, si canonice fuerit ordinatus, meritis beati Petri indubitanter effecitur sanctus testante sancto Ennodio Papiensi episcopo ei multis sanctis patribus faventibus, sicut in decretis beati Symachi pape continetur.

XXIIII. Quod illius precepto et licentia subiectis liceat accusare.

XXV. Quod absque synodali conventu possit episcopos deponere et reconciliare.

XXVI. Quod catholicus non habeatur, qui non concordat Romane ecclesie.

XXVII. Quod a fidelitate iniquorum subiectos potest absolvere.
 

Miniatura tratta dall'opera di Donizone "Vita della Contessa Matilde di Canossa", raffigura Enrico IV, scomunicato da Gregorio VII, che richiede l'intercessione a Matilde di Canossa. A sinistra l'abate di Cluny, Ugo il Grande (1049-1109). Miniatura del XII secolo.

 

Il concordato di Worms sancisce il primato papale. L'atto conclusivo dl tale conflitto avvenne soltanto nel 1122, quando Enrico V e il papa Callisto II (1119-1124) stipularono il concordato di Worms. L'imperatore rinunciava a ogni intervento nell'elezione del pontefice; l'investitura spirituale dei vescovi con il pastorale e l'anello, simboli della consa­crazione religiosa, doveva essere fatta solo dal papa, mentre l'imperatore poteva aggiungere l'investitura temporale con la spada, simbolo del potere politico, solo per i vescovi-conti. In Germania, la con­sacrazione temporale doveva precedere quella religiosa, per rafforzare il potere imperiale sui signori laici, mentre in Italia l'investitura temporale doveva essere successiva a quella ecclesiastica, per non sminuire il potere del papa. Pur trattan­dosi di un accordo di compromesso, il concordato permetteva a un papato ormai indipendente da pesanti interferenze lai­che di stabilire un primato su tutta la gerarchia ecclesiastica e di esercitare con­seguentemente il proprio potere su un territorio vastissimo.

 

Con lo scambio dei documenti che attestavano i patti intervenuti a Worms nel settembre del 1122 fra l'imperatore Enrico V e il papa Callisto II in materia di investiture ecclesiastiche, si poneva termine a quella che fu detta appunto «lotta delle investiture», iniziatasi dallo scontro fra Gregorio VII ed Enrico IV. Il concordato raggiunto fra le due massime autorità della Chiesa e dell'Impero trovava esplicita e circostanziata sanzione dai due documenti che si scambiarono, in quella circostanza, Callisto II ed Enrico V: l'imperatore consegnava al papa il documento attestante il patto raggiunto e la stessa cosa faceva il pontefice nei riguardi dell'imperatore. Sfortunatamente è andato perduto il documento consegnato ad Enrico V da papa Callisto II, mentre è conservato all'Archivio Vaticano quello che l'imperatore scambiò con il pontefice, detto anche «Privilegium Calixtinum». L'atto, assai sobrio nella veste esteriore, tramanda gli estremi del celebre concordato, e più precisamente gli impegni che l'imperatore intese assumere nei confronti della Chiesa. Si stabiliva la doppia investitura: quella ecclesiastica (dei vescovi), spettante solo alla Chiesa, e quella feudale (anche per i vescovi) di pertinenza dell'imperatore, il quale doveva però compierla d'ora in avanti solamente con lo scettro e non più con l'anello e il pastorale. La promessa dell'imperatore inizia direttamente alla prima riga, senza alcun preambolo

In nomine sanctae et individuae Trinitatis. Ego Heinricus, Dei gratia Romanorum imperator augustus, pro amore Dei et Sanctae Romanae Ecclesiae et domini papae Calixti et pro remedio animae meae dimitto Deo et sanctis Dei apostolis Petro et Paulo Sanctaeque Catholicae Ecclesiae omnem investituram per anulum et baculum et concedo in omnibus ecclesiis, quae in regno vel imperio meo sunt, canonicam fieri electionem ac liberam consecrationem. Possessiones et regalia beati Petri, quae a principio huius discordiae usque ad hodiernam diem, sive tempore patris mei sive etiam meo, ablata sunt, quae habeo, eidem Sanctae Romanae Ecclesiae restituo; quae autem non habeo, ut restituantur fideliter iuvabo. Possessiones etiam aliarum omnium ecclesiarum et principum et aliorum tam clericorum quam laicorum, quae in werra ista amissae sunt, consilio principum vel iusticia quae habeo reddam; quae non habeo, ut reddantur fideliter iuvabo. Et do veram pacem domino papae Calixto Sanctaeque Romanae Ecclesiae et omnibus, qui in parte ipsius sunt vel fuerunt; et in quibus Sancta Romana Ecclesia auxilium postulaverit, fideliter iuvabo et, de quibus mihi fecerit querimoniam, debitam sibi faciam iusticiam. Haec omnia acta sunt consensu et consilio principum, quorum nomina subscripta sunt: Adalbertus archiepiscopus Mogontinus, F. Coloniensis archiepiscopus, H. Ratisbonensis episcopus, O. Bauenbergensis episcopus, B. Spirensis episcopus, H. Augustensis, G. Traiectensis, Ö. Constanciensis, E. abbas Wldensis, Heinricus dux, Fridericus dux, S. dux, Pertolfus dux, marchio Teipoldus, marchio Engelbertus, Godefridus palatinus, Otto palatinus comes, Beringarius comes. (SR) EGO FRIDERICUS COLONIENSIS ARCHIEPISCOPUS ET ARCHICANCELLARIUS RECOGNOVI (ed. in WEILAND, Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones, I, pp. 159-160)