Cartesio (1596-1650)

Cartesio, nome italianizzato di René Descartes (1596-1650), nacque in Francia a La Haye, da una famiglia di piccola nobiltà, e si formò nelle migliori scuole del tempo. Insofferente delle au­torità e delle oscurità del sapere appreso, si dette a viaggiare per l'Europa, facendo esperienza del mondo e maturando il dise­gno di un nuovo me­todo capace di assicu­rare certezza e unità alla scienza. Nel 1629 si ritirò in Olanda, dove la vita intel­lettuale era più avan­zata e tollerante e meno forti le distra­zioni mondane, man­tenendosi in contatto con le principali personalità culturali dell'epoca. Qui in vent'anni mise a pun­to importanti teorie non solo filosofiche ma anche matemati­che e scientifiche, fra cui quelle che porta­rono alla creazione della geometria anali­tica del piano detto appunto «cartesia­no». Tra il 7630 e il 1633 compose Il mondo, in cui soste­neva la teoria coper­nicana, ma la notizia della condanna di Galileo lo spinse a non pubblicarlo. La sua filosofia fu esposta in forma sin­tetica nel Dizionario sul metodo (1637), uscito come introduzione ai trattati scientifici Diottrica, Meteore e Geometria; fu poi ri­presa in forma più si­stematica nelle Meditazioni metafisiche (1641). Nei Principi di filosofia (1644) ap­plicò la sua concezio­ne matematico-mec­canicistica del mondo naturale alla fisica, al­l'astronomia, alla geo­logia, alla biologia e alla fisiologia, e nelle Passioni dell'anima (1649) cercò dì spie­gare il modo in cui si uniscono nell'uomo la parte spirituale con quella materiale, deli­neando anche una morale basata sul controllo razionale delle passioni. Morì improvvisamente in Svezia presso la regi­na Cristina che lo aveva chiamato a in­segnarle filosofia.

Il Discorso sul metodo per condur bene la propria ragione e ricercare la verità nelle scienze, pubblicato anonimo in Olanda nel 1637, è un manifèsto del pensiero moderno. Ricorrendo per la prima volta al francese anziché al latino per trattare questioni filo­sofiche, attraverso una narrazione di tipo autobiografico l'autore esponeva in poche pagi­ne a un pubblico ampio tutti i punti principali del proprio pensiero. I passi qui presentati sono tratti dalla prima e dalla seconda parte, dedicate rispettivamente alla storia della formazione dell'autore e alla esposizione di un nuovo me­todo capace di rinnovare tutta la scienza.

[1] lettere: gli studi umanistici, basati nei primi anni su gram­matica, storia, poesia, retorica. e negli ultimi su filosofia e scienze.
[2] una delle... Europa: il collegio dei gesuiti a La Flèche.
[3] la logica... l'algebra: sono le discipline che si impostano su un ri­gore metodologico tale da garantire l'assoluta certezza delle loro di­mostrazioni.
[4] m'ero ingannato: nel passo che omettia­mo, l'autore accenna al carattere eccessiva­mente astratto delle tre discipline, e al modo confuso e oscu­ro in cui venivano esposte.

[5] chiaramente e di­stintamente: sono due termini-chiave del pensiero di Cartesio: devono essere accetta­te solo le idee che si presentano alla mente in modo immediata­mente evidente, senza che niente rimanga in ombra (chiareza), e ben definite, separa­te le une dalle altre (distinzione­).

[6] dividere... risol­verlo: è la regola del­l'analisi, per cui un problema complesso può essere più facil­mente risolto se viene scomposto in elementi semplici (parti minori) e quindi intuitivamen­te evidenti.
[7] condurre... com­plessi: è la regola della sintesi: dopo che attra­verso l'analisi si è scomposto un proble­ma complesso nei suoi elementi più semplici, si deve cercare di ri­comporre questi ele­menti in modo ordina­to, mostrando in qual modo essi si colleghi­no fra loro.
[8] supponendo... altri: anche se gli oggetti non si presentano spontaneamente al pensiero in una sequenza ordinata, occorre costruire mentalmente un ordine.

[9] enumerazioni... nulla: bisogna infine ripercorrere tutti i singolo passaggi svolti nell’analisi e nella sintesi, in modo da abbracciarli contemporaneamente in unico sguar­do e controllarne la consequenzialità.

Io sono stato istruito nelle lettere[1] sin dalla fanciullezza; e poiché mi si era fatto credere che con lo studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicu­ra di tutto ciò ch'è utile alla vita, avevo un desiderio grandissimo d'imparare. Ma, appena terminato quel corso di studi, dopo il quale si è di solito annove­rati fra i dotti, mutai interamente opinione: poiché mi trovai intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di non aver cavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non questo: di avere scoperto sempre più la mia ignoranza. Eppure mi trovavo in una delle più celebri scuole d'Europa[2], ove dovevo ri­tenere che se in qualche luogo del mondo esistevano uomini dotti, erano lì. E vi avevo appreso tutto quello che gli altri vi apprendevano; anzi, non conten­tandomi delle scienze che c'insegnavano, avevo scorso tutti i libri, capitatimi fra le mani, che trattano delle scienze più curiose e più rare. Di più, conosce­vo i giudizi che gli altri facevano di me, e capivo di non essere stimato infe­riore ai miei condiscepoli, sebbene ve ne fossero alcuni già destinati a occu­pare il posto dei nostri maestri. Infine, il nostro secolo mi sembrava fiorente e ricco di buoni ingegni quanto nessuno dei precedenti. Il che mi faceva prendere la libertà di giudicare da me tutti gli altri, e di pensare che non ci fosse al mondo una tale scienza, quale prima mi avevano fatto sperare.  [...]

Ecco perché, appena l'età mi permise di uscire dalla tutela dei miei precet­tori, abbandonai interamente lo studio, e risolsi di non cercare altra scienza fuori di quella che potevo trovare in me stesso o nel gran libro del mondo. Impiegai, dunque, il resto della mia giovinezza a viaggiare, a vedere corti e uomini d'armi, a frequentare genti di altra indole e condizione, a far tesoro di una diversa esperienza per mettere me stesso alla prova nei casi che la fortu­na mi offrisse e trarne, così, con la riflessione, qualche profitto. Mi pareva, in­fatti, che avrei trovato molto più di verità nei ragionamenti che ognuno fa ri­guardo agli affari suoi, per i quali egli è punito subito se sbaglia, che non in quelli di chi, chiuso nel suo studio, sta attorno a speculazioni di nessun effet­to pratico, salvo quello forse di renderlo tanto più vanitoso quanto più esse sono lontane dal senso comune, e quanto più ingegno e artificio egli ha dovu­to impiegare per farle apparire verosimili. Ed io, invece, avevo sempre un ar­dente desiderio d'imparare a distinguere il vero dal falso per veder chiaro nelle mie azioni e camminare con sicurezza nella vita.

Vero è che considerando i costumi degli altri uomini trovavo poco o nulla di rassicurante: vi trovavo, anzi, quasi altrettanta disparità di vedute quanta avevo riscontrata prima tra le opinioni dei filosofi. Sì che il maggior profitto che ne cavavo era nel vedere accolte e approvate da altri grandi popoli molte cose che a noi sembrano stravaganti e ridicole, per cui imparavo a non pre­star troppa fede a nulla di cui mi si volesse persuadere soltanto con l'esempio e l'abitudine. Mi venni, così liberando a poco a poco di molti errori, che pos­sono offuscare il nostro lume naturale e renderci meno capaci a ragionare.

Ma, dopo di avere così impiegato alcuni anni a studiare nel libro del mon­do e a farne esperienza, presi un giorno la risoluzione di studiare anche in me stesso, e d'impiegare tutte le forze del mio ingegno a scegliere il cammino da seguire. Questo, a mio avviso, mi riuscì assai meglio che se non mi fossi allon­tanato mai né dal mio paese né dai miei libri.  [...]

Avevo studiato un po' quando ero più giovane, tra le parti della filosofia, la logica, e, tra le matematiche, l'analisi geometrica e l'algebra[3]: tre arti o scienze, dalle quali speravo cavar qualche aiuto per il mio disegno. Ma, nel­l'esaminarle, mi accorsi che m'ero ingannato[4]. [...]

Bisognava, dunque, che io cercassi un altro metodo, il quale, riunendo i vantaggi di questi tre, fosse esente dai loro difetti. E come la moltitudine del­le leggi fornisce spesso una scusa all'ignoranza e al vizio, per cui uno Stato è tanto meglio regolato quanto meno ne ha, ma rigorosamente osservate; così, invece di quel gran numero di regole di cui la logica è composta, pensai che ne avrei avuto abbastanza di queste quattro, purché prendessi la ferma e co­stante risoluzione di non venir meno neppure una volta alla loro osservanza.

La prima era di non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale con evidenza: di evitare, cioè, accuratamente la precipitazione e la pre­venzione; e di non comprendere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presentava così chiaramente e distintamente[5] alla mia intelligenza da esclude­re ogni possibilità di dubbio.

La seconda era di dividere ogni problema preso a studiare in tante parti minori, quante fosse possibile e necessario per meglio risolverlo[6].

La terza, di condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei più complessi[7]; e supponendo un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono naturalmente gli altri[8].

L'ultima, di far dovunque enumerazioni così complete e revisioni così ge­nerali da esser sicuro di non aver omesso nulla[9].

Quelle catene di ragionamenti, lunghe, eppure semplici e facili, di cui i geometri si servono per pervenire alle loro più difficili dimostrazioni, mi die­dero motivo a supporre che nello stesso modo si susseguissero tutte le cose di cui l'uomo può avere conoscenza, e che, ove si faccia attenzione di non acco­glierne alcuna per vera quando non lo sia, e si osservi sempre l'ordine neces­sario per dedurre le une dalle altre, non ce ne fossero di così lontane alle qua­li non si potesse arrivare, né di così nascoste che non si potessero scoprire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIALOGO CON IL TESTO

Cartesio muove da un sentimento di totale insoddisfazione per il sapere del passato che l'insegnamento gli ha trasmesso. Esso gli appare pieno di speculazioni artificiose, utili solo a soddisfare la vanità intellettuale, incapace di progredire perché dominato da un'irrisolvibile varietà di opinioni e di metodi. A questa cultura tradizionale, preva­lentemente umanistico-letteraria, egli contrappone l'esigenza di un sapere nuovo, più utile alla vita conoscitiva, morale e pratica dell'uomo («veder chiaro nelle azioni e cam­minare con sicurezza nella vita»), perché fondato sull'esperienza diretta del mondo e sulla riflessione che ognuno compie attraverso il lume naturale della ragione. Un sape­re interamente fondato sulla ragione, che è concepita come la capacita naturale e spon­tanea di distinguere il vero dal falso presente in ogni uomo (senso comune), che ognuno deve imparare a usare, liberandola dal peso dell'autorità e della tradizione (l’esempio e l’abitudine). Per questo Cartesio è il padre del razionalismo moderno.

Il sapere per Cartesio deve costituire un'unica scienza fondata su un metodo nuovo, consistente in quattro semplici regole, che devono permettere a ognuno di raggiun­gere con le sue sole forze delle conoscenze assolutamente certe: esse hanno tutte l'u­nico scopo di ricondurre ogni verità, anche la più complessa, a idee chiare e distinte, escludendo dall'indagine ogni elemento che non sia dotato di evidenza. Il nuovo me­todo si ispira alla chiarezza e al rigore deduttivo della matematica, che Cartesio vuo­le riformare dalle oscurità accumulate nel tempo, per porla come modello di ogni conoscenza sia filosofica che scientifica. Questo ideale di conoscenza esemplato sui ragionamenti dei geometri avrà un'enorme influenza nella filosofia successiva e for­nirà un contributo essenziale alla fondazione matematica della scienza moderna.