Giambattista Marino (1569-1625)

Giambatti­sta Marino (1569­-1625), estroso avven­turiero della penna e indiscusso capo­scuola della poesia barocca in Italia, nac­que a Napoli da una famiglia borghese. Fin de giovane si die­de con spregiudicato arrivismo alla carrie­ra letteraria, cer­cando la protezione delle famiglie aristo­cratiche più in vista nella città. Nel 1600, dopo essere stato due volte in prigione (per aver sedotto una ra­gazza poi morta d'a­borto e per aver falsi­ficato dei documen­ti), fuggì da Napoli e vagabondò da Roma a Ravenna a Torino, dove trovò una siste­mazione vantaggiosa presso la corte sabau­da. Ma anche a Torino, dopo aver subito un attentato da parte di un poeta rivale, dovette af­frontare una terza carcerazione per aver scritto dei versi in­giuriosi nei confronti del duca di Savoia. Nel 1615, grazie alle sua capacità autopro­mozionali e al grande successo della sua sterminata produzio­ne poetica, ottenne ospitalità e onori alla corte di Francia, co­ronando i suoi sogni di fasto e di ricchez­za; qui visse per otto anni, lavorando all’Adone, il suo capolavoro. Nel 1623, ricco e fa­moso, ritornò a Napoli, dove trascorse gli ultimi anni, men­tre le accademie cit­tadine facevano a gara nei tributargli onori e attorno alla sua poesia si intrec­ciavano le esaltazioni e le polemiche.

Per la sua donna, ch'avea spiegate le sue chiome al sole

La donna, bella come il sole per il poeta, scioglie i suoi capelli al sole. Qual è a questo punto il sole più splendente? Intorno a questo artificioso enigma si sviluppa un sonetto ricchissimo di metafore, giochi fonici, virtuosismi.

 

 

 

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A l'aura il crin ch'a l'auro il pregio ha tolto,

sorgendo il mio bel sol del suo oriente,

per doppiar forse luce al dì nascente,

da' suoi biondi volumi avea disciolto.

 

Parte, scherzando in ricco nembo e folto,

piovea sovra i begli omeri cadente,

parte con globi d'or seri gìa serpente

tra' fiori, or del bel seno or del bel volto.

 

Amor vid'io, che fra' lucenti rami

de l'aurea selva sua, pur come sòle,

tendea mille al mio cor lacciuoli ed ami;

 

e, nel sol de le luci uniche e sole,

intento, e preso dagli aurati stami,

volgersi quasi un girasole il sole!

 

 

 

 

 

 

 

1-4. La donna amata dal poeta ha sciolto i suoi capelli d'oro, quasi per aumentare la luminosità dell'al­ba. La quartina, estremamente elabo­rata e ricca di inver­sioni sintattiche, è centrata sulla metafo­ra donna / sole: il sog­getto della frase prin­cipale (il mio bel sol) è al v. 2; il verbo reg­gente al v. 4 (avea di­sciolto). 1. A l'aura: all'aria. il crin... tolto: i capelli che (per il loro splendore) hanno tolto all'oro il suo pregio. 2. sorgendo... orien­te: la mia donna (il mio bel sol), alzando­si dal letto (sorgendo… dal suo oriente). 3. doppiar: raddop­piare. 4. volumi: le crocchie in cui li aveva raccol­ti per la notte. 5. Parte: dei capelli. nembo: nuvola. 6. omeri: spalle. 7. globi d'or: riccioli biondi. seri gìa ser­pente: andava ser­peggiando. 8. tra' fiori: fra le bel­lezze. 9-10. fra' lucenti... selva: fra i suoi capel­li luminosi. Ora la chioma della donna è diventata una selva. 10. pur... sole: pro­prio come è solito. 11. lacciuoli ed ami: trappole e ami per catturare il cuore del poeta. 12-14. La terzina è retta dal vid'io del v. 9. 12. luci uniche e sole: gli occhi della donna, gli unici che contano per il poeta (uniche e sole). 13-14. intento... sole: (vidi) il sole, assorto (intento), e catturato da quei fili (stami) d'oro, volgersi (verso la mia donna) come il girasole (si volge ver­so il sole).

Il tema dei capelli biondi della donna sparsi al vento è tradizionale («Erano i capei d'oro a l'aura sparsi» è il primo verso di uno dei più famosi sonetti di Petrarca, ri­preso in infinite varianti dai petrarchisti del Cinquecento). Ma fin dal gioco di paro­le "aura"/"auro" del v. 1 Marino immette i lettori in un clima nuovo: l'immagine ini­ziale dei capelli della donna è solo il punto di partenza per un acrobatico proliferare di immagini e di suoni che si rispecchiano labirinticamente gli uni negli altri, lascian­dosi alle spalle l'armonia e l'equilibrio petrarcheschi in nome della poetica dell'arti­ficio e della "meraviglia"; il sonetto culmina nell'ultima terzina, dove la metafora finale, condita di una girandola di giochi di parole, suggella l'effetto di stu­pore che il poeta vuole produrre sugli spettatori.

Narra alcuni amori di pesci

L'amore è un sentimento cantato dalla lirica di ogni tempo. In questo sonetto Marino cerca di far restare a bocca aperta i suoi lettori attribuendolo a molluschi, crostacei, ser­penti di mare.

 

 

 

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Oggi, là dove il destro fianco ad Ischia

rode il Tirren col suo continuo picchio,

vidi conca con conca e nicchio e nicchio

baciarsi, e come a l'un l'altro si mischia;

 

e la biscia del mar, che pur s'arrischia

venirne infin colà presso il crocicchio,

ove del sole al luminoso spicchio  

la chiama l'angue innamorato e fischia.

 

E vidi ancor d'amor l'algente anguilla

arder fra l'acque; e gir di grotta in grotta,

i lor maschi seguendo, occhiate e salpe.

 

Né però vidi mai, perfida Lilla,

te fatta a me cortese, e, se non rotta,

men dura, del tuo cor la rigid'alpe.

1-2. là dove... pic­chio: là dove il Mar Tirreno col continuo battere delle sue onde (picchio) corro­de la costa occidenta­le (destro fianco) all'i­sola di Ischia. 3. conca: conchiglia. nicchio: mollusco col guscio. 4. e... mischia: e (vidi) come si con­giungono insieme. 6. venirne... crocic­chio: venire dal mare (ne) vicino all'incro­cio. Probabilmente si riferisce a un incro­cio di sentieri vicino alla riva. 7. spicchio: raggio. 8. angue: serpente. 9. algente: gelida. 10. gir: andare. Il soggetto del verbo sono le occhiate e sal­pe del v. 11. 11. occhiate e salpe: due tipi di pesci. Ma­rino, appoggiandosi al genere femminile dei nomi, attribuisce la denominazione alle femmine della specie. 12. Né però: ma non per questo. Contrap­pone la frenesia ero­tica che prende per­sino creature fredde come i pesci alla du­rezza di cuore della sua donna. 13. fatta a me: dive­nuta con me. 13-14. se non... alpe: l'infrangibile pietra (rigid’alpe) del tuo cuore, se non spezza­ta, almeno meno dura (nei miei con­fronti).

 

 

 

Il sonetto è un brillante esempio dell'intenzione tipicamente barocca di uscire dal campo dei temi tradizionali della poesia per mettere il lettore di fronte all'infinita I varietà e mutevolezza del mondo, evidenziata in quegli anni dai nuovi campi e meto­di d'indagine della ricerca scientifica. Nelle prime tre strofe la "meraviglia" è susci­tata dall'accostamento tra elementi opposti: esseri quasi minerali, o freddi e sfuggen­ti, come i crostacei, i molluschi e i pesci improvvisamente animati dall'ardore dell'i­stinto erotico. A questi nell'ultima strofa il poeta contrappone la ben maggiore fred­dezza della sua donna. L:effetto di novità e di spiazzamento è accentuato dall'uso di parole e immagini estranee alla tradizione poetica.

Seno

Un tema tipico della poesia barocca è lo zoom su un particolare del corpo femminile. Uno dei punti preferiti è il seno.

 

 

 

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Oh che dolce sentier tra mamma e mamma

scende in quel bianco sen ch'Amore allatta!

Vago mio cor, qual timidetta damma,

da' begli occhi cacciato, ivi t'appiatta.

 

Da l'ardor, che ti strugge dramma a dramma

schermo ti fia la bella neve intatta:

neve ch'ognor da la vivace fiamma

di duo soli è percossa e non disfatta.

 

Vattene pur, ma per la via secreta

non distender tant'oltre i passi audaci,

che t'arrischi a toccar l'ultima meta.

 

Raccogli sol, cultor felice, e taci,

in quel solco divin (se 'l vel nol vieta),

da seme di sospir messe di baci. 

l. tra mamma e mamma: fra le due mammelle. 2. Amore: è comple­mento oggetto di al­latta: la bellezza del seno alimenta, fa cre­scere l'amore del poeta per la donna. 3. Vago: innamorato. damma: cerbiatta. 4. ivi t'appiatta: na­sconditi lì. 5. a dramma a dram­ma: a poco a poco (da dramma, piccola unità di peso). 6. schermo ti fia: ti sarà riparo. neve: il biancore della pelle della donna. 7-8. neve... disfatta: neve che è sempre esposta al vivo calore di due soli (fuor di metafora: gli occhi della donna) ma non ne viene sciolta (disfatta). 9. Vattene pur: pas­seggia pure. Si rivol­ge ancora al proprio cuore. la via secreta: la via nascosta sotto le vesti della donna. 10. distender: spin­gere. audaci: intra­prendenti. 11. l'ultima meta: l'o­biettivo finale del de­siderio del poeta. 12. Raccogli sol: ac­contentati di racco­gliere. cultor: coltiva­tore. Il cuore semina e raccoglie nel solco del v. 13. 13. solco: il solco fra le mammelle (e insie­me il solco in cui l'a­gricoltore semina). se... vieta: se il vesti­to non lo copre. 14. da... baci: un rac­colto di baci che na­sce dal seme dei so­spiri d'amore.

 

 

Le donne protagoniste delle poesie di Marino e dei suoi seguaci, a differenza di quelle idealizzate di Petrarca e dei petrarchisti, sono decisamente più "fisiche" che spirituali. Questa caratteristica è accentuata dalla scelta di concentrare lo sguardo su un solo punto, particolarmente attraente e sensuale, del corpo femminile.