Ragione e sentimento: il secolo dei romanticismi

 

I numeri si riferiscono al libro di testo G.M. Anselmi - C. Varotti, Tempi e immagini della letteratura, vol. 4, Bruno Mondadori,  2003

 

percorso

1. L'Europa romantica. Le idee e le arti (21-46)

Per un primo quadro, vedi qui sotto (note tratte da: Angelo Marchese, Storia intertestuale della letteratura italiana, D’Anna, Firenze 1990 )

 

2. Il romanticismo tedesco (71-89)

 

3. Il romanticismo inglese (93-109)

 

4. Il romanticismo francese (111-124)

 

5. Il romanticismo italiano (140-164)

  

Che cos'è il romanticismo?

Il romanticismo, secondo una consueta definizione, è un movimento culturale e artistico sviluppatosi in Europa fra la fine del secolo XVIII e la metà del XIX. La parola deriva dall'inglese romantic che, in pieno Seicento, indicava il carattere avventuroso e fantastico dei racconti di moda cavallereschi o pastorali, e anche la stranezza e la bizzarria di una certa natura selvaggia. Rous­seau riprende il termine nel significato di «pittoresco» e di «malinconico», per designare un sentimento e uno stato d'animo vago, indefinito, spesso nostalgico che sorge da un'accorata contemplazione del paesaggio. Ma solo in Germania Romantik ha un valore del tutto positivo, prima come sinonimo di «gotico» o di «medievale» in genere, poi con i fratelli Schlegel come emblema del nuovo gusto, della concezione moderna della letteratura in antitesi a quella classica e illuminista. Spetta infine a Madame de Staèl, con De l’Allemagne, (1813), e al Sismondi, con De la littérature du midi de l’Europe (1813), il merito di aver diffuso in Europa i concetti essenziali del roman­ticismo tedesco.

Come vedremo, è pressoché impossibile ricondurre all'univocità di una defini­zione i disparati e spesso contrastanti aspetti del romanticismo: l'idolatria dell'indi­viduo e la sua subordinazione al sociale o al trascendente, la fantasia e il realismo, la modernità e l'evasione nel passato, la contemplazione e l'attivismo, l'entusiasmo titanico e la depressione malinconica, l'ottimismo e il pessimismo, e via dicendo. Né è corretto considerare il romanticismo tedesco come paradigma di quella com­plessa e variegata temperie spirituale che, nelle diverse nazioni europee (e di rifles­so in America), costituisce il fenomeno romantico. Il quale trascende l'ambito strettamente letterario per abbracciare l'arte e la cultura del primo Ottocento, la visione della vita e la filosofia, la musica, il costume stesso. D'altra parte, sarebbe assurdo pretendere di conoscere il romanticismo italiano senza avere una prospetti­va europea di tale movimento, evitando di rapportare la letteratura ai codici cultu­rali che l'attraversano, isolandola (in quanto nazionale) dal sistema generale e dalle sue norme peculiari, o infine ignorando i nessi fra l'arte verbale e le altre forme dell'esperienza estetica.

 torna su

Lo stato d’animo romantico

Il grande tema della letteratura romantica è: lo scacco e la morte dell’eroe incapace di adattarsi ad un ordine di cui gli sfugge il significato e che, in ogni modo, richiederebbe la rinuncia ai principi più sacri della coscienza. L'infelicità dell'uomo romantico deriva sempre da una disarmonia e da una sproporzione fra l'ideale e il reale, fra l'assoluto e il contingente: l’io rifiuta, nella sua tensione all'ideale e all'assoluto, di essere ridotto entro la mediocre prigione della realtà.

 L'inadeguatezza dell'uomo verso il mondo

Hegel ha osservato che il carattere tipico dello «spirito romantico» è l’«inadeguatezza radicale dell'uomo verso il mondo». La coscienza romantica si avverte infelice nel momento in cui l’inesauribile trascendenza dell’io verifica dolorosamente, spesso tragicamente i limiti del reale. Nello scontro fra una realtà meschina - incarnata in uno spazio e in un tempo gretti, senza slanci - e un empito sentimentale tumultuoso, lo scacco del personaggio romantico è anche la crudele esperienza della irrealizzabilità di quegli stessi ideali che pur costituiscono l'ultima fede, una volta cadute la vecchie credenze positive del cri­stianesimo.

Lo stato d'animo romantico ha origine, dunque, da una complessa crisi di certezze: prima fra tutte, l'orgogliosa pretesa illuministica di poter risolvere ogni problema con la ragione, dopo aver demolito in terra e in cielo dogmi, pregiudizi, superstizioni del passato antico e recente. Il fallimento degli ideali di libertà, egua­glianza e fraternità nel mare di sangue della Rivoluzione francese aveva accresciuto negli spiriti più sensibili un sentimento di stanchezza e di delusione per altro largamente diffuso, dopo tante guerre, anche nelle masse. Fra i molti, De Musset ha colto con chiarezza l'origine metafisica dell'anelito romantico: «Un'immensa speranza ha at­traversato la terra: nostro malgrado verso i cieli dobbiamo alzare gli occhi!»; «mio malgrado l'infinito mi tormenta».

 torna su

La spiritualità romantica

Il sentimento e la natura

L'insoddisfazione nei confronti della mentalità illuministica caratterizza il romanticismo come Weltanschauung incentrata sul fondamentale valore del sentimento. Il sentimento, tuttavia, specie nei romantici tedeschi, non è visto come alternativa alla ragione, ma a quella facoltà astratta che è l'intelletto, capace solo di organizzare in modo superficiale l'esperienza secondo i dettami del meccanicismo newtoniano, del materialismo o del sensismo. In particolare, la natura è sentita dai filosofi tedeschi non piú come un insieme astratto di leggi meccaniche (secondo la ben nota imma­gine dell'«orologio»), bensí come una realtà viva, animata, dinamica: un organismo che - dice Schelling - si crea in uno sviluppo infinito, come totalità di Io e di non-Io. Qualche interprete ha colto proprio in questa concezione del cosmo (come meccanismo statico nel pensiero illuminista e come organismo vivente, dinamico e creativo per i romantici) il discrimine fonda­mentale fra i due secoli. Fondamentale è il rapporto fra l’io-e la natura, caratterizzato da due atteggiamenti essenziali: se la natura è considerata come una metafora dello spirito o di Dio stesso, realtà vivente protettiva o consolatrice alla stregua di una madre amorosa, approdo pacificante o estatico di una tensione religiosa dell'indivi­duo alla vita dell'universo, prevarrà un sentimento euforico e ottimistico; se invece natura è sentita come una forza indifferente o addirittura avversa, matrigna, ne deriverà un'attitudine pessimistica, sino ai limiti del Weltschmerz, il dolore cosmico di un Leopardi o di un Vigny.

Lo scrittore romantico privilegia spesso un aspetto della natura in rapporto alla sua personale psicologia o al suo stato d'animo contingente: l'autunno, ad esempio, può connotare un sentimento acuto di malinconia e di solitudine; immagini di morte e di desolazione sono generalmente inserite su uno sfondo di paesaggio invernale; viceversa, la primavera e l'estate sottolineano l'euforia del­l'amore e della vita: il significato profondo della natura è spesso simbolico, al di là delle note realistiche della descrizione. In altri termini, la natura, nella poesia romantica, è sempre associata a una complessa situazione sentimentale e psicologi­ca, spesso tormentata e drammatica.

L’inadeguatezza dello spirito romantico al mondo, la tensione mai ri­solta all’infinito, l’insofferenza dei limiti del presente sono alla radice di quel particolare sentimento che è la Sehnsucht, il desiderio struggente, nostalgico, angoscioso, proprio di un io diviso il quale tende perennemente ad evadere verso qualcosa d'altro (alterità, altrove o alibi, spesso in un intreccio inestricabile). La fuga nel tempo e nello spazio è l’espressione più caratteristica della Sehnsucht, in quanto ritorno al passato intriso di nostalgia, memoria della fanciullezza o della giovinezza illusa (si ricordi il Leopardi), rimpianto per ciò che è stato e non è piú (il Medioevo di Novalis). Cosí pure i paesi lontani, le isole belle, l'Oriente e la Grecia sono attraenti proprio perché utopici, luoghi del sogno. Fascino, dunque, dell'irrevocabile, come il mito classico-edenico di Foscolo, Hölderlin e Keats, che colora di nostalgia la propen­sione dell'animo verso un mondo di bellezza vivo solo nel ricordo, tragicamente inattuale. «Tutto in lontananza diventa poesia - dice Novalis -: monti lontani, uomini lontani, eventi lontani, tutto diventa romantico». Pensieri affini esprime il Leopardi:

Un oggetto qualunque, per esempio un luogo, un sito, una campagna, per bella che sia, se non desta alcuna rimembranza, non è poetica punto a vederla [...]. La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro, se non perché il presente, quel ch'egli sia, non può esser poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago (Zib. 4420).

All'uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io son vissuto gran tempo, senten­do di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono come doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d'una campana; e nello stesso tempo coll'immaginazione vedrà un'altra torre, un'altra campagna, un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose (Zib. 4418).

L'indefinito, la rimembranza, la stessa singolare teoria della «doppia vista» non sono che particolari espressioni dello stato d'animo romantico che avverte l'insuf­ficienza del presente e tende ad evadere in un'altra realtà, memoriale, fantastica, onirica o metafisica. L'evasione nello spazio può talora non bastare allo spirito romantico, che tenderà allora a evadere dallo spazio nell'interiorità della coscienza, nell'infinito o nell'assoluto («Noi cerchiamo dappertutto l'assoluto, l'incondiziona­to e troviamo sempre e soltanto cose»: Novalis). Qui la Sehnsucht rivela tutta la sua profondità sconvolgente in quanto irrequietezza spirituale, struggimento senza og­getto, e quindi male del desiderio. Questa ricerca del desiderio senza fine che caratterizza la psicologia del romantico (soprattutto tedesco) non può che approda­re a un'ipersensibilità dolorosa e lacerata, a una tensione conflittuale, a un dissidio intimo spesso figurato nel personaggio di Amleto. La fuga dal reale che la ragione non sa controllare esaspera l'impulso introspettivo («Il sentiero segreto guida verso l'interno. Dentro di noi, o in nessun altro luogo, stanno i regni dell'eternità, il passato e il futuro»: Novalis); l'esplorazione dell'«altro» sprofonda nell'inconscio, in qualcosa che è al di là della ragione.

Il mal du siècle è come una specie di malattia spirituale sottile, ango­sciosa, indistinta, che spinge alla solitudine, al senso dell'inutilità e del vuoto («Le vide m'environne tous les jours...», Sénancour): condizione interiore non confortata dalla natura, che anzi alimenta illusioni ancor piú dolorose. «Tutta la malattia del nostro secolo ha origine da due cause: il popolo che è passato attraverso il 1793 e il 1814 ha ricevuto due ferite al cuore: tutto ciò che era stato non è piú; tutto ciò che sarà non è ancora. Non cercate altrove il senso dei nostri mali». Cosí Alfred de Musset tenta di storicizzare, ne Les confessions d'un enfant du siècle (1836), fra Terrore e caduta di Napo­leone, l'inquietudine di una generazione vissuta in un'età di crisi generale, non solo politica.

L’amore

L'«anima bella» è necessariamente una «coscienza infelice» perché nul­la può appagarla totalmente. L'amore è certo una delle esperienze inevita­bili dell'uomo romantico che vive sullo slancio di un geistiges Gefühl (sentimento spirituale) capace di trascendere la banalità chiusa e monotona del reale. La letteratura romantica della passione suggella spesso in modo tragico i conflitti insolubili scatenati da quella forza della natura che è l'amore, forza pura e innocente in contrasto con le ipocrite convenzioni sociali.

Non si deve comunque credere che l'amore per i romantici sia solo sublimazione di spiriti senza corpo; nonostante la carica idealizzante, esso tende a una pienezza di sentimenti che non esclude la dimensione sensuale ed erotica, come mostra la grande linea narrativa del Bildungsroman europeo. Nella psicolo­gia romantica l'amore si associa di frequente alla memoria, magari tramite il pae­saggio che catalizza lo slancio del cuore; spesso la morte ne è il risvolto simbiotico ineludibile e perciò tragico, come dice Leopardi: «Quando novellamente / nasce nel cor profondo / un amoroso affetto, / languido e stanco insiem con esso in petto / un desiderio di morir si sente: / come, non so: ma tale / d'amor vero e possente è il primo effetto». «Quando si fugge il dolore - afferma Novalis - è segno che non si vuole piú amare. Chi ama dovrà eternamente sentire il vuoto che lo circonda e serbare la sua ferita aperta». Lo scompenso metafisico, cioè il senso dell'inadeguatezza del reale all'ideale, fa sí che anche l'amore riveli i suoi limiti, travolto nella precarietà del tempo e delle illusioni, o viva soltanto nella perennità del mito poetico.

La morte

Ciò spiega, almeno in parte, l'enorme importanza che ha la morte nella spiritualità romantica, qualora si consideri che per la «coscienza infelice» «la vita è l'inizio della morte. La vita esiste per amore della morte» (Novalis). E proprio negli Inni alla notte (scritti nel 1797 e pubblicati nel 1800) il grande lirico tedesco ritrova nella fuga dalla luce, simbolo del perituro, e nella pace delle tene­bre, viatico a Dio, l'immagine confortatrice della sua adorata Sofia. La notte, misteriosa e sublime, permette l'abolizione dello spazio e del tempo, aprendo in noi gli «occhi infiniti» che ci consentono di percepire l'unità del tutto, dell'amore e della morte stessa. Il male di vivere invoca la suprema tregua della tomba: è il tema ossessivo della poesia del Foscolo; ma, nello stesso tempo, la sofferenza nobilita, distingue l'eroe romantico dall'uomo comune, redime.

Nella linea stoica anticipata dal preromanticismo (Alfieri, il Werther goethiano ripreso dall'Ortis del Foscolo) la morte esprime l'ultima tragica contestazione del presente, del caduco, del limitato e la riaffermazione orgogliosa e titanica dell'io libero che si rifiuta, uccidendosi, alla mediocrità della vita. Più inquietante è la Todessehnsucht, l'attrazione distruttiva della morte che è un aspetto psicanaliticamen­te essenziale della spiritualità che stiamo indagando. Nel dramma di Kleist, Pentesilea (1808), la regina delle Amazzoni spinge la sua folle passione per Achille sino all'ebbrezza della distruzione e, fattasi cagna furiosa insieme ai suoi mastini, sbrana voluttuosamente il corpo dell'amato prima di suicidarsi. Anticipando il decadenti­smo, Kleist rappresenta nella guerra dei sessi il trionfo di Thanatos su Eros, del­l'istinto distruttivo su quello unitivo, in una Grecia barbarica, dionisiaca e nottur­na che si pone come radicale antitesi dell'Ellade armoniosa e solare di Goethe e del neoclassicismo.

Il culto dell’io: titanismo e vittimismo

Al centro della spiritualità romantica è sempre e comunque il sommo valore dell'io, il culto spinto sino al narcisismo della personalità geniale, ribelle, eroica, in rotta con ogni norma o vincolo che in qualche modo la limiti, secondo un modello protagonistico che dallo Sturm und Drang si matura nel byronismo e in genere nel cosiddetto titanismo o prometeismo: atteggiamenti che, in forme diverse, esaltano la carica individualistica dell'io nella sua perpetua lotta contro la società o il destino (si pensi all'esule ramingo, avversato dai «Numi», tipica del Foscolo). Al titanismo corrisponde l'atteggiamento antitetico e complementare del vittimismo, del ripiegamento interiore, della voluptas dolendi, della rinuncia alla lotta, della clausura solitaria (lontano dai mediocri...): una manifestazione della psicologia romantica che si delinea già nel fascino della malinconia da cui sono presi personaggi egotistici.

 torna su

Estetiche e poetiche del romanticismo

L'estetica romantica

Per quanto si è detto sinora, risulta quasi impossibile definire un'esteti­ca e una poetica del romanticismo, essendo cosí molteplici e contrastanti le posizioni dei vari movimenti e gruppi romantici, anche nell'ambito di una stessa cultura nazionale. Una filosofia dell'arte, inoltre, è prospettata soltanto in Germania nel quadro dell'idealismo: in particolare, con Schelling l'arte diventa un «organo» della filosofia in quanto capace di cogliere l'unità di conscio ed incon­scio, soggetto ed oggetto, sino al punto piú alto che svela all'uomo l’«odissea dello spirito», la manifestazione del divino. Questa aspirazione totalizzante della poesia è presente anche in F. Schlegel, che vede in essa la sintesi di reale e ideale, raziona­lità e inconsapevolezza, filosofia e sentimento. Senza negare il primato della genia­lità, i romantici tedeschi, diversamente dagli Stürmer, non esaltano affatto il mo­mento passionale e convulso dell'ispirazione, bensí il dominio dello spirito lucido, il miracolo della forma, il distacco della fantasia e dell'ironia. Si comprende anche il recupero della dimensione mitica, tanto importante nell'estetica tedesca: il mito, infatti, è essenzialmente la proiezione simbolica, quasi archetipica, di una realtà spirituale profonda. La fantasia, il mito, la fiaba, la poesia stessa fanno balenare dietro alla realtà fenomenica il mistero dell'assoluto e dell'infinito. Di qui l'impor­tanza eccezionale che riveste in Germania il modo inventivo fantastico-fiabesco, il genere dei Märchen o dei racconti surreali, onirici e magici.

Solo nel romanticismo tedesco, con Wackenroder soprattutto, si approfondisce un'estetica musicale a sfondo mistico e irrazionalistico: la musica (ancor piú della pittura) non imita la natura o la realtà esterna, è pura arte dell'interiorità e del sentimento; analogamente, per l'idealismo magico di Novalis la poesia si colloca al centro del mistero dell'universo come scrittura dell'assoluto. Non c’è dubbio che questo acuto interesse per l'arte è in parte stimolato dalla Critica del giudizio di Kant, dalla dottrina delle idee e degli attributi estetici, secondo cui il linguaggio poetico, diversamente da quello comune, è plurisenso, suscita in noi una molteplicità di sensazioni e rappresentazioni secondarie indistinte, indicibili. Dove il linguaggio della parola non riesce a cogliere l'invisibile, sarà la musica per Wackenroder a esprimerne il miracolo, l'epifania. Analogo è il pensiero di Hoffmann, che considera la musica la piú romantica di tutte le arti perché ha per oggetto l'infinito. Nella stessa ottica Novalis afferma: «Ogni parola è una parola di evocazione. A seconda dello spirito che chiama, uno spirito appare». Il poeta, quasi mago e incantatore, ci apre al mondo ignoto del mistero.

Poetica del romanticismo latino

Il romanticismo latino è invece attratto, in prevalenza, dal vero, dalla rappresentazione realistica e storica, dall'immediata espressione dei sentimenti, talora da una concezione vatesca del poeta, interprete della voce del popolo e dei destini della nazione (donde la generosa retorica patriottica che attraversa il primo Ottocento). Le differenti condizioni storiche e politiche, l'ur­genza del riscatto nazionale, il rapporto non del tutto antagonistico con la tradizio­ne illuminista fanno prevalere, in Italia, una poetica romantica (piú che un'esteti­ca) che considera, con la Madame de Staël, la letteratura come espressione della società. Piú attiva nelle culture latine è la polemica contro il classicismo e il suo sistema di regole, contro l'imitazione e la mitologia.

Può accadere che romantici e classicisti si rifacciano a principi comuni, come ad esempio all'idea che l'arte debba imitare la natura. Ma per i classicisti la natura, immutabile, è fonte di un insegnamento attinto alla perfezione dagli antichi; per i romantici essa è invece creatività perenne e dinamica, sentimento, spontaneità. Regolarità e genio, imitazione e originalità sono le diverse lezioni che si traggono dallo stesso riferimento alla natura. Anche il vecchio principio mimetico (l'arte è rappresentazione del vero) può avere svariate connotazioni all'interno dei due sistemi. L'immagine del poeta che adempie una missione nella società è ben romantica; ma anche i classicisti non rinunciano al magistero letterario, alla difesa delle me­morie, al ruolo di educatori della nazione. Il mito della bellezza, infine, il nostalgi­co recupero dell'armonia greca, gli stessi ideali winckelmanniani hanno diversi esiti nel neoclassicismo romantico di Schiller, Hölderlin, Keats e Foscolo. Per questi motivi è spesso assai difficile separare nettamente i campi dei «tradizionalisti» e degli «innovatori», dei «conservatori» e dei «rivoluzionari». Classicista non vuol dire di per sé reazionario, come riteneva il Pellico nel pieno della battaglia del «Conciliatore»; cosí romantico non significa ipso facto liberale: anche in Italia si hanno nobilissime figure di patrioti dalla parte dei difensori della tradizione. Le classificazioni, inoltre, erano allora piuttosto elastiche, talora sorprendenti.

 torna su

La cultura romantica

Il nazionalismo

Al cosmopolitismo della civiltà del Settecento i romantici contrappon­gono il sentimento della nazione e della patria, il culto delle tradizioni popolari, delle memorie e delle istituzioni del passato. L'universalismo illuminista aveva un fondamento razionale (l'uomo-ragione è sempre eguale in ogni tempo e luogo); il nazionalismo romantico ha connotazioni sentimentali, oltre che storiche: il popolo ha una sua individualità, una fisionomia inconfondibile come la persona che, calata in esso, vi assume il volto del cittadino di quella determinata patria. Il nazionalismo è di norma associato nei paesi latini al liberalismo dei patrioti, anche se è possibile notarne gli usi ambivalenti nella tradizione pangermanica che si rifà al pericoloso concetto di «nazione missionaria», guida e faro delle altre. Le degenerazioni imperialistiche del naziona­lismo sono comunque estranee al miglior pensiero romantico, rappresentato esem­plarmente dal federalismo europeo di Giuseppe Mazzini.

Fondamento della tradizione nazionale è la cultura del popolo oggettivata nella lingua (concepita anch'essa come un organismo spontaneo e naturale) e nelle testi­monianze folcloriche (i canti, le saghe, le fiabe ecc.), amorevolmente raccolte e interpretate come espressione della Naturpoesie. Il mito del Medioevo nasce, nella cultura romantica europea, sulla scia di quell'integrale recupero del passato, e soprattutto del passato cristiano, che porta a rivalutare le tradizioni popolari e nazionali in funzione polemica con l'illuminismo francese.

Anche in questo caso, soprattutto il romanticismo tedesco approfondisce, da Fichte a Hegel, una nuova concezione della storia che si definisce giustamente «storicismo». La storia è in genere sentita come uno sviluppo spirituale in cui ogni momento e ogni età hanno un senso: il passato non è liquidabile, come pensava l'illuminismo, alla stregua di un tenebroso ammasso di errori e di superstizioni, privo affatto della luce dell' intelletto; la storia, afferma Schelling, è la progressiva manifestazione dell'Assoluto o dello Spirito universale, come vuole Hegel; in essa si attua la coscienza della libertà di uomini e popoli (magari attraverso l'«astuzia della ragione»...). Ma, prescindendo dalle elaborazioni filosofiche, lo storicismo impregna profondamente la cultura romantica europea e motiva quell'attenzione per ogni manifestazione della vita, della società e dei costumi che si esprime nel­l'arte storico-realistica dell'Ottocento, dalla letteratura alla pittura, al melodramma musicale.

Per quanto il romanticismo implichi, di necessità, un distacco piuttosto marcato dal classicismo (specie latino) e in genere dai modelli classicheggianti della cultura francese del Seicento e del Settecento, l'anelito al passato, l'amore del bello, l'aspirazione nostalgica all'armonia inducono alcuni romantici a mitizzare la Grecia apollinea come una forma della Sehnsucht o dell'evasione nel passato, mentre quella dionisiaca, violenta e passionale si esprime marginalmente nell'opera di Kleist. Questo motivo «barbarico», irrazionale, primi­tivo e fantastico è colto invece nel Medioevo, anche se la rievocazione di tale età finisce ben presto per dare vita alla moda alquanto stucchevole delle ballate, dei drammi e dei romanzi «storici» (si pensi all'enorme successo di Walter Scott). Piú complessa l'esigenza spirituale e ideologica che sorregge l'Enrico di Ofterdingen di Novalis e soprattutto Die Christenheit oder Europa (1799), dove il primato della fede è visto in funzione di quella pace tanto attesa dai popoli del continente, sconvolti dalla bufera napoleonica. L'attesa di una nuova cristianità che recuperi i valori essenziali del Medioevo coincide con la condan­na dell'illuminismo e della morale passiva e utilitaristica della borghesia.

Il valore della persona

Un altro grande tema della cultura romantica è la valorizzazione della personalità autonoma e creatrice, svincolata dalle costrizioni esterne della società, delle convenzioni e delle norme tradizionali, prometeica, titanica e ribelle secondo lo stile esagitato dello Sturm und Drang, sempre e comunque sommamente libera, protesa a un sogno di pienezza e di felicità irrealizzabile nei limiti del contingente. La tensione all'infinito e all'assoluto, implicita nella morale dell'idealismo, arricchisce la psicologia romantica di una gamma assai vasta di sentimenti, fra l'ebbrezza della gioia e la disperazione buia del dolore e della noia, l'euforia dei grandi gesti e il vuoto spaventoso dell'accidia, le intense emozioni dell'amore e l'onnipresente pensiero della morte. L'uomo-anima del romanticismo si contrappone all'uomo-macchina razionale e materialistico dell'illuminismo perché è essenzialmente geistiges Gefühl, sentimento spirituale. L'eccezionalità di questo io sublime si appoggia alla teoria del genio, dell'uomo-natura, che è già implicitamente un super-uomo. La centralità dell'io porta alla confessione diretta, secondo il modello di Rousseau, all'autobiografia, al diario intimo. Qui agisce un altro grande mito del secolo: la sincerità, l'esibizione della persona in tutte le sue pieghe nascoste, nell'ecceziona­lità del suo sentire segreto, il piacere persino sadico della nudità interiore, il supera­mento di ogni ipocrisia.

 

torna su