La letteratura giovanile

Una direzione sulla quale ha puntato molto l'industria editoriale in que­sto ventennio è stata quella della letteratura giovanile: una letteratura, cioè, scritta da giovani (talora giovanissimi) e rivolta in via prioritaria ad un pubblico potenziale di giovani. Un dato statistico può aiutare a capire le dimensioni del fenomeno: tra il 1975 e la metà del 1996, sono usciti in Italia 1350 titoli di 530 autori esordienti o comunque affermatisi in que­sto lasso di tempo. In quasi la metà dei casi, le opere prime non hanno avuto seguito e sono rimaste opere uniche: se ne deduce che il consumo rapido e il continuo ricambio dei prodotti diventa un principio indiscuti­bile anche per le scelte dell'editoria. Del resto, investire nei giovani costa poco e può anche rendere molto: uno dei maggiori best seller di questi anni, Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi (1994) è appun­to opera d'un autore giovanissimo; ma ottimi risultati hanno ottenuto, in termini di mercato, anche Andrea De Carlo, Alessandro Baricco, Giusep­pe Culicchia ed altri.

Capostipite di questa generazione di scrittori è Pier Vittorio Tondelli (1955-1991), il quale tra l'altro contribuì personalmente a far emergere giovani narratori lavorando per la casa editrice Transeuropa al progetto Under 25. Nei libri di Tondelli - soprattutto nel primo, Altri libertini (1980) - trovavano voce per la prima volta, con un tono di sincerità asso­luta, le problematiche individuali, le private perdizioni di un mondo gio­vanile uscito dalle tensioni politiche degli anni Settanta. Di quel mondo Tondelli esplorava i sogni, la rabbia, gli slanci amorosi, le abitudini ses­suali (etero ed omosessuali), le esperienze autodistruttive della droga, lo squallore degli ambienti d'incontro, con una sfrontatezza anche linguisti­ca che lì per lì generò sconcerto e scandalo, ma che poi divenne modello per tutta la letteratura giovanile successiva.

Fra i giovani autori che esordiscono durante gli anni Ottanta possia­mo citare, ma il rischio di omissioni gravi comincia a farsi più consisten­te, Claudio Piersanti (1955), Marco Lodoli (1956), Paola Capriolo (1962), Giorgio Van Straten (1955) oltre al già ricordato De Carlo.

Una svolta significativa all'interno della letteratura giovanile si può regi­strare attorno alla metà degli anni Novanta, con l'avvento della cosiddet­ta «letteratura cannibale» (dal titolo fortunato di una antologia di ten­denza, Gioventù cannibale, pubblicata da Einaudi nel 1996). Vi si posso­no ascrivere giovani scrittori come Niccolò Ammanniti, Isabella Santacroce, Simona Vinci, Aldo Nove, Tiziano Scarpa, il Brizzi di Bastogne (1996).

Si tratta d'una produzione in cui oggetti di racconto sono omicidi, stu­pri, aggressioni gratuite, vandalismi, mutilazioni ed automutilazioni: una violenza narrata con minuzia iperrealistica e raccapricciante, ma come fosse la cosa più normale del mondo.

Sul piano delle forme linguistiche si esasperano tendenze già presenti nella letteratura giovanile precedente: il linguaggio è un pastiche che contamina cinema, televisione, musica, fumetto, spot pubblicitari, con un'infarinatura di anglicismi e di gerghi giovanili, e con un ricorso inin­terrotto al turpiloquio. In fondo si tratta di una forma di sperimentalismo linguistico, però molto lontano dalle intenzioni trasgressive e polemiche dell'avanguardia; qui l'intenzione è puramente mimetica: fare il verso al parlato greve e grezzo in cui si esprime il mondo rappresentato.

L'ideologia a cui prevalentemente si adeguano questi autori è un nichilismo senza drammi, che teorizza la quotidianità del Male, con una sorta di cinismo strisciante. Il mondo, con tutto il suo squallore, il sangue, la violenza, lo schifo, è accettato per quello che è. La violenza sciorinata serve a colpire allo stomaco il lettore ed a catturarne l'attenzione aneste­tizzata. Può muovere al disgusto, ma non all'indignazione. Talvolta si ha l'impressione che tutto quel profluvio di sangue, di arti lacerati, di corpi mutilati, non abbia altro effetto che quello di nascondere l'orrore vero del mondo di fine millennio, fin troppo riconoscibile a chi solo sappia guar­dare oltre l'orizzonte del proprio ombelico.