L'ideologia religiosa; il problema del male e il tema della Provvidenza;

la conclusione del romanzo.

La critica al formalismo religioso

 

 

Nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche Manzoni è ispirato dallo stesso criterio di giustizia che abbiamo prima descritto. Anche in questo caso l'in­flessibile moralista non depone affatto le armi. La critica a una religione dive­nuta diplomazia al servizio delle varie corporazioni è non meno netta di quella al formalismo religioso della badessa del convento di Monza e del vicario che do­vrebbe accertare l'autenticità della vocazione di Gertrude.

Carattere negativo della natura umana e della storia

 

 

 

In tale critica va colto indubbiamente un lato storico: il narratore prende di mira un modo di agire che era comune, nel Seicento, a qualsiasi forma di potere. Ma sarebbe sbagliato non scorgerne un valore più generale: è la natura umana in quanto tale a essere posta sotto tiro. La parola «delirio» torna due volte per de­scrivere l'inclinazione alla credulità, alla stupidità, alla cecità che accomuna po­tenti e masse popolari in occasione della peste, mentre implacabilmente il narra­tore osserva che, nelle situazioni più disperate, se cresce la virtù, «cresce soprat­tutto la perversità». È la natura umana stessa, insomma, che, in quanto, appun­to, natura, o pulsione degli istinti, spinge all'errore e alla colpa, alla cecità come all'egoismo o alla sopraffazione.

La "morale cattolica" contrapposta alla storia

 

 

 

 

Alla storia come prodotto della natura umana, e dunque come serie di errori e di colpe, Manzoni contrappone un valore fisso e universale, sottratto al relati­vismo storico: il valore della morale cattolica. Alla luce della morale cattoli­ca, il narratore onnisciente commenta e giudica, in modo autoritario, il compor­tamento di tutti i personaggi del romanzo. Nei Promessi sposi la condanna della storia non è meno radicale che nell'Adelchi. È vero che ora, attraverso le figure di padre Cristoforo e del cardinale o dei cappuccini del lazzeretto, si indica la strada di un più fattivo operare degli eroi dell'ideale all'interno della società; ma esso sembra incapace di modificarla in profondità e di influenzare il corso della storia in modo da invertirne la tendenza al male piuttosto che al bene.

Il carattere enigmatico della Provvidenza

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella storia, certo, agisce la Provvidenza, anche, come sappiamo dall'Adelchi, nella forma della «provida sventura». Ma vi agisce in modi enigmatici, imperscrutabili per la mente umana. Perché il male nella storia? Certo, il male prodotto dall'uomo può spesso essere evitato; ma il male naturale, la peste? Si tratta forse di una punizione divina della malvagità umana? E, se sì, perché colpisce non solo don Rodrigo, ma anche fra Cristoforo? Domande che in­dubbiamente Manzoni si pone ma che restano senza risposta. La Provvidenza agisce sì nella storia, ma non ne indirizza il senso in modo chiaro e univoco, non la converte in "progresso", in sviluppo civile, in un percorso rettilineo. La morale angusta di don Abbondio, che interpreta la peste come "provvidenza" perché ha agito da «scopa» spazzando via i malvagi come don Rodrigo è solo una morale utilitaria e di piccolo cabotaggio. Né è meno angusta quella di Ren­zo che più volte nel corso del romanzo, e anche alla fine, interpreta la Provvi­denza come realizzazione dei propri desideri o della propria formazione per­sonale. La religione di Manzoni non è certo quella di don Abbondio, e neppu­re quella di Renzo.

Il Dio nascosto di Pascal  e l'azione della Grazia

 

 

 

 

 

 

 

Indubbiamente ogni cosa accade perché voluta da Dio per i suoi fini, ma que­sti sono incomprensibili per la mente umana. Il Dio di Manzoni è il Dio nasco­sto di Pascal e dei giansenisti. Così della Provvidenza Man­zoni coglie soltanto l'aspetto individuale della Grazia, quale si può intravedere nella esperienza concreta della singola persona umana. Già in Ermengarda e in Adelchi la «provida sventura» si manifestava nella forma della Grazia divina che permetteva loro, attraverso la sofferenza individuale, di riscattarsi dalle col­pe del loro popolo. E ugualmente nei Promessi sposi la disgrazia e la colpa di Lo­dovico sono occasione perché la Grazia si manifesti in lui nella forma della con­versione. E a salvare l'innominato non sono certo le opere, ma, ancor prima di esse, il fatto che, per dono della Grazia, Dio gli si riveli nel tumulto dei senti­menti e nel pieno di una crisi esistenziale. Sul piano storico, dunque, il male resta un enigma, così come resta misterioso il percorso della Provvidenza.

La conclusione anti-idillica del romanzo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giova considerare, da tale punto di vista, la conclusione del romanzo. A Renzo che orgogliosamente e in­genuamente crede di aver trovato il senso della storia da lui vissuta negli errori che ha commesso e negli insegnamenti che ne ha tratto, Lucia ribatte di non avere commesso errori e di non essere mai andata a cercarsi i guai e che tuttavia essi l'hanno colpita egualmente. Ritorna insomma l'interrogativo sul male. La risposta che i due insieme trovano e che lo scrittore pone come «il sugo di tutta la storia» è la seguente: «i guai vengono bensì spesso, poiché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta e innocente non basta a tenerli lon­tani»; comunque sia, «quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore». Il male dunque non è interpretabile semplicemente come punizione divina e nemmeno come prova da superare, ma risponde a ragioni che la mente umana non può rico­struire. Il dolore non si spiega dentro la storia. La fiducia in Dio serve però a renderlo più sopportabile e magari utile per la salvezza dell'anima. Si trat­ta di una conclusione niente affatto idillica. Anche la vita tranquilla e agiata ­di Renzo e Lucia è sottoposta agli imprevisti del male. Nonostante l'apparenza scontatamente bonaria, è una conclusione problematica e tutt'altro che tranquillizzante.

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