Il progetto manzoniano di società e i temi principali del romanzo:

la storia, gli umili, la politica, l'economia, la giustizia

La critica del potere

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ironia manzoniana ai appunta soprattutto sulla cultura, sul comportamento e sul linguaggio del Seicento, quali si riflettono particolarmente nei personaggi di autorità e in quelli che esprimono la prepotenza del potere: il podestà di Lecco, il conte Attilio, don Rodrigo, Azzeccagarbugli, il Conte zio, il Padre provinciale, il capitano di giustizia, il principe padre, Antonio Ferrer, il vicario di provvisione, Ambrogio Spinola, don Gonzalo Fernandez de Cordova. La critica del potere è in effetti uno dei più grandi temi del romanzo. Fra le sue pagi­ne più alte si devono annoverare quelle che descrivono la tavolata di don Ro­drigo, il conte Attilio, il podestà e Azzeccagarbugli o quelle dedicate al princi­pe padre di Gertrude e, soprattutto, al dialogo fra il Conte zio e il Padre pro­vinciale: un capolavoro, quest'ultimo, di cattiveria stilistica nella rappresenta­zione dell'ipocrisia e dei gesuitismo della diplomazia politica ridotta a difendere ristretti interessi di famiglia o di corporazione religiosa.

La scelta dell'ambientazione storico-geografica

 

 

La Lombardia del Seicento, governata dagli Spagnoli, viene scelta per ambientare il romanzo perché si presta a un facile parallelo con quella all'inizio dell'Ottocento, parimenti oppressa dagli Austriaci; si deve tenere presente, anche, che il Seicento era il secolo preferito, come bersaglio, dall'ironia degli illu­ministi. Volendo l'autore rappresentare il male storico, questo secolo, considera­to da un'ottica illuministica, vi si prestava dunque particolarmente bene.

La storia come protagonista del romanzo

 

 

 

 

La storia non è un inerte scenario, né un fondale esteriore, bensì uno dei gran­di protagonisti del romanzo. Essa impregna di sé scene e psicologie, condizionan­do in profondità i comportamenti dei personaggi, che, anche quando sono inven­tati, hanno sempre una precisa dimensione storica, cioè sociologica, economica, culturale. E d'altronde nel romanzo non incontriamo solo personaggi storici ben individuati, come il cardinale Borromeo o la monaca di Monza, ma situazioni effettivamente verificatesi nella storia lombarda fra il 1628 e i1 1630, come la carestia, la guerra per la successione di Mantova e del Monferrato, la peste, da Manzoni attentamente ricostruite su documenti e su libri di storia e di economia.

Gli umili

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mentre però nei romanzi storici di Scott i protagonisti sono personaggi già noti perché presi dalla storia d'Inghilterra, i protagonisti manzoniani, Renzo e Lucia, sono inventati e provengono dagli strati popolari: sono degli "umili", come si suole dire con un termine che fu criticato da Gramsci. Questa scelta è un tratto originale di Manzoni. Essa rappresenta una novità decisiva: per la prima volta personaggi che non sono né nobili né borghesi vengono portati come eroi sulla scena letteraria, non travestiti da pastorelli arcadici (in realtà, controfigure di nobili o di letterati) e neppure ridotti a rozzi villani oggetto di satira (la satira contro i villani ha costituito per secoli un topos letterario), ma realisticamente rappresentati nella loro umanità e addirittura, nel caso di Lucia, indicati come modelli esemplari. Solo nel teatro, da Ruzzante a Goldoni, era avvenuto qualco­sa di simile, ma in modo più limitato e con un impatto complessivo sul mondo culturale molto più circoscritto. Ora invece Renzo e Lucia determinano una svolta che agirà in profondità nella narrativa italiana.

Gli umili nella prospettiva religiosa del Manzoni

 

 

 

 

 

 

La scelta manzoniana degli "umili" come protagonisti si collega indubbia­mente sia all'interesse romantico per il popolo, sia alla sua cultura cristiana. Il tema evangelico dei poveri prediletti da Dio era già negli Inni sacri. Esso compor­ta una propensione democratica che in Manzoni resta limitata, però, alla sfera religiosa, senza investire quella politica. Tutti gli uomini sono eguali e fratelli di fronte a Dio; le disuguaglianze e le ingiustizie sociali vanno perciò limitate e con­trastate; ma lo strumento per raggiungere questo obiettivo non è la lotta politica, bensì la carità cristiana. I poveri devono aver fiducia nella Provvidenza e in una giustizia divina che però si realizza pienamente solo nell'aldilà: su questa terra, dunque, da un lato devono essere operosi e pazienti, dall'altro confidare nel soc­corso caritatevole della Chiesa e dei buoni cristiani. C'è, ovviamente, in questa posizione una certa dose di paternalismo aristocratico; ma essa rientra soprattut­to nel programma moderato del cattolicesimo liberale, di cui Manzoni è un espo­nente di punta.

Manzoni e la borghesia: la difesa del liberismo economico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Manzoni si batte indubbiamente per un processo risorgimentale in cui la bor­ghesia possa avere una funzione dirigente. Non per nulla le idee di politica eco­nomica che apertamente professa nel romanzo sono quelle di tipo liberistico che si erano affermate in Inghilterra con la rivoluzione industriale e che si erano dif­fuse in Europa con la cultura dell'Illuminismo. Lo provano due elementi: 1) la polemica contro le autorità governative, responsabili nella Milano del 1628 di avere imposto un calmiere sul prezzo del pane (il quale invece, a suo avviso, avrebbe dovuto fluttuare liberamente seguendo la legge della domanda e dell'of­ferta) e perciò del successivo accaparramento e della conseguente inevitabile carestia; 2) la esplicita presa di posizione contro la mancanza di libertà dei commerci, intralciata da leggi doganali assurde e perciò indicata come concausa della carestia. Tuttavia, anche se Manzoni ritiene che il liberismo economico rappresenti un indubbio vantaggio per tutti e che giovi al processo civile, non si fa molte illusioni su di esso. Il suo pessimismo circa la natura umana lo induce a cercare rimedi più sicuri in un progetto di ricristianizzazione della società: la mediazione della Chiesa e l'attività caritatevole dei buoni cristiani potranno attutire le conseguenze negative dell'egoismo economico e porre par­ziale rimedio agli inevitabili errori dei ceti dirigenti. Di qui il proposito di conci­liare politica e religione, di affiancare, cioè, alla linea politica moderata e liberi­sta, di cui Manzoni promuove l'affermazione all'interno della borghesia, la spin­ta cristiana alla solidarietà fra le classi.

I tumulti milanesi e la linea politica e ideologica di Manzoni

 

 

Una posizione politica, economica e sociale come questa spiega l'atteggiamen­to del narratore nei capitoli dedicati ai tumulti milanesi e poi alla carestia e alla peste. La critica alla politica demagogica e antiliberista del governo spagnolo è radicale, ma non meno netta è la condanna della massa popolare (più volte defi­nita «marmaglia»). Anzi il potere e il popolo sono uniti in una stessa ironica con­danna. Manzoni capisce sì le cause che muovono alla sommossa la folla, ma ne rifiuta drasticamente sia gli obiettivi economici (il calmiere sul pane) sia lo stru­mento della lotta di piazza. Non si tratta solo, dunque, di atteggiamento pater­nalistico, ma di precisa scelta politica.

Il problema della giustizia

 

 

 

 

 

 

Anche il tema-cardine della giustizia non è visto mai in un'ottica esclusiva­mente terrena, bensì sempre in quella religiosa. Manzoni sa bene, come dice Agnese, che «contro i poveri c'è sempre giustizia» o, come dice Perpetua, che è «mala cosa nascer povero». Ma, da un lato, sul piano politico, avverte, con padre Cristoforo, che «a metter fuori l'unghie, il debole non ci guadagna», dall'altro, su quello religioso, sa non meno bene che la vera giustizia non è di questo mondo e per aspirare a quella di Dio bisogna sopportare, fare la carità e affidarsi alla Provvidenza. Accanto alla giustizia come problema sociale egli avverte, ancor più forte, quello della giustizia come problema individuale e religioso. In ogni circostanza egli pone il quesito: quale sarebbe stato il giusto comportamento? E nell'aggettivo "giusto" il lato religioso conta indubbiamente di più di quello sociale e politico.

Cattolicesimo e giansenismo in Manzoni

 

 

E tuttavia la religione di Manzoni non è solo ortodossamente cattolica. Vi resta, irrisolta, un'inquietudine giansenistica circa il mistero della giustizia divi­na e della salvezza individuale. Questa superiore giustizia rimane in realtà un enigma di fronte al quale il moralista autoritario deve confessare il proprio sbi­gottimento e cedere il campo. È qui che si apre lo spazio più attuale e moderno della ricerca manzoniana.

torna