I. Auschwitz

II. Birkenau

III. La macchina della morte

IV. La vita quotidiana

 

I. Auschwitz

Auschwitz, situato in una valle paludosa della Polonia meridionale, a pochi chilometri da Cracovia, costituì, per le sue colossali dimensioni e per la sua prolungata attività che si protrasse fino alla fine della guerra, uno dei pilastri operativi più rilevanti del sistema concentrazionario nazista, volto allo spostamento e all’eliminazione fisica di milioni di uomini giudicati appartenenti ad una "razza inferiore", e, per la sua triplice funzione di campo di concentramento (Konzentrationslager), di sterminio (Vernichtunslager) e di lavoro forzato (Zwangsarbetslager), divenne l’espressione più compiuta e sistematica dello sfruttamento, dell’oppressione e dell’annientamento di milioni di vite umane, nonché il simbolo del perverso progetto di sterminio elaborato con minuziosa e quasi ossessiva precisione dall’ideologia nazionalsocialista e da essa realizzato con diligente, scrupolosa puntualità.

Profilo storico: da Auschwitz I a Birkenau

La costruzione del campo di concentramento di Auschwitz venne progettata nell’estate del 1940 da Heinrich Himmler in un luogo paludoso nei pressi della città di Oswiecim, poco distante da Cracovia, dove si trovava una caserma abbandonata dell’artiglieria austriaca, costituita ormai da costruzione pericolanti. Malgrado l’ambiente circostante fosse malsano e acquitrinoso, con acque inquinate e nugoli di zanzare, il luogo tuttavia, provvisto di vantaggiosi collegamenti ferroviari, ma allo stesso tempo isolato e non facilmente osservabile, parve il più opportuno per ospitare un nuovo campo di prigionia. Himmler affidò così la responsabilità della realizzazione del progetto a Höss, il quale vi attese con scrupolosa metodicità, rispettando gli ordini e guadagnandosi promozioni. In primo luogo dispose l’evacuazione degli abitanti dalle case situate nel territorio circostante, divenuto zona militare; vi condusse poi 300 ebrei in lavoro coatto, con lo scopo di iniziare la costruzione del campo. Alcuni criminali di nazionalità tedesca vennero destinati alla funzione di sorveglianti, svolgendo un’azione di controllo sui detenuti. Grazie alla capacità organizzativa e all’attivismo di Höss, il campo venne ultimato con estrema rapidità.

Il 14 giugno 1940 giunsero così i primi prigionieri: 728 polacchi, la maggior parte dei quali giovani catturati mentre cercavano di attraversare clandestinamente il confine con l’Ungheria, accolti dal sarcastico motto: "Arbeit macht frei": la libertà può essere ottenuta solo attraverso la totale dedizione al lavoro.

Nella fase iniziale il campo era costituito da 28 edifici di un piano che ospitavano un numero di prigionieri oscillante tra i 13000 e i 16000, destinati per lo più a lavori di costruzione. In questo primo periodo (1940-1941) Auschwitz infatti non aveva ancora la funzione di campo di sterminio, ma semplicemente di campo di detenzione per prigionieri polacchi, dove confinare elementi indesiderabili, ufficiali dell’esercito, dissidenti ed eretici, che minacciavano l’ordine che i nazisti si accingevano a costruire nell’Europa orientale.

Parallelamente alla crescita del numero di detenuti, si rivelò tuttavia necessario estendere l’area territoriale del campo, che divenne ben presto un enorme campo di sterminio. Il Konzentrationslager di Oswiecim, denominato anche Auschwitz I, divenne il campo madre (Stammlager) e nel 1941 venne intrapresa la costruzione di Auschwitz II-Birkenau, a Brzenzinka, un paese a tre chilometri di distanza. Malgrado la regione non offrisse risorse idriche sufficienti e un sistema fognario adatto, Höss ordinò l’edificazione del campo sfruttando prigionieri di guerra russi, che incominciarono ad affluire a migliaia, debilitati e in condizioni di vita ai limiti della sopravvivenza: dei 12.000 internati a Birkenau nell’autunno del 1941, solo 150 sopravvissero sino all’estate seguente.

Per alloggiare 100.000 prigionieri, come era stato richiesto da Himmler, venne prevista una serie di fabbricati a due piani costruiti in un rettangolo dalla larghezza di 120m e la lunghezza di 7 Km. Ciascuna costruzione conteneva tre file di celle, con quattro o sei prigionieri per cella, di fatto insufficienti per contenere gli effettivi 200.000 prigionieri deportati a Birkenau. Il 3 agosto 1942 vennero approvati i progetti esecutivi per i quattro forni crematori che avrebbero dovuto garantire l’incenerimento di 10.000 cadaveri al giorno e solo nel marzo 1943 il crematorio II fu in grado di iniziare a operare.

Fu a partire dalla seconda metà del 1942 fino alla liberazione nel 1945 che Auschwitz-Birkenau divenne un Vernichtungslager, un vero e proprio sistema di annientamento degli ebrei, che procedette con fasi di differente intensità. Tra il 1943 e i primi mesi del 1944 infatti le condizioni di vita ad Auschwitz migliorarono sensibilmente: Höss venne infatti richiamato a Berlino e lo sostituì, in qualità di comandante, il tenente Liebehenshel, che introdusse una serie di riforme, che determinarono significative modificazioni nella struttura organizzativa del campo, probabilmente risultato della situazione di insicurezza ed instabilità in cui versava la Germania: la vittoria infatti non appariva più come una certezza.

Nel maggio 1944 Höss riassunse il comando del campo: vennero ristrutturati i forni crematori, rafforzati i camini, riparato l’intero impianto per un periodo di massima attività. Ebbe così inizio il momento più cupo dell’Olocausto: l’annientamento degli ebrei di Ungheria. Il 15 maggio incominciarono le deportazioni verso Auschwitz: mezzo milione di ebrei ungheresi vennero condotti alla morte su convogli composti da 40-50 vagoni, ognuno dei quali conteneva da 80 a 100 persone. Ormai a Birkenau si effettuavano esigue selezioni, dal momento che la maggior parte dei detenuti veniva trasportata direttamente nelle camere a gas. Il numero delle vittime era tale che, sebbene i crematori lavorassero giorno e notte, fu necessario raggiungere livelli di efficienza ancora più elevati per l’eliminazione di tutti i cadaveri.

L’attività delle camere a gas continuò ininterrottamente fino all’autunno del 1944, quando Himmler decise di porre termine alle esecuzioni e di smantellare i crematori di Auschwitz. A quel punto gli uomini del Sonderkommando, squadra speciale addetta al trasporto dei cadaveri, timorosi di essere coinvolti nell’imminente sterminio, malgrado avessero sempre goduto di un trattamento privilegiato, riuscirono ad armarsi e ad organizzare una rivolta in vasta scala. I capi squadra si riunirono nel crematorio IV, distruggendolo parzialmente con dinamite. L’esplosione diede il segnale dell’inizio della rivolta anche ai Sonderkommando degli altri crematori, che si lanciarono nel cortile, aprirono dei varchi nel reticolato e fuggirono verso i boschi, inseguiti dalle SS, che li circondarono e uccisero.

Le autorità di Auschwitz disposero, poco prima della ritirata, la cancellazione delle prove più compromettenti. Vennero bruciate le liste dei deportati mandati alle camere a gas, i documenti dell’ospedale che provavano l’uccisione di migliaia di prigionieri con iniezioni di fenolo, vennero smantellati i forni e riesumati i cadaveri; i crematori e le camere a gas vennero fatte esplodere e fu bruciato il deposito in cui erano stati accumulati i beni dei deportati. Il 18 gennaio i nazisti ordinarono l’evacuazione generale: radunarono i prigionieri e fuggirono da Birkenau, cercando di distruggere le prove di uno sterminio organizzato in modo troppo sistematico per non lasciare le proprie tracce. Ancora oggi a Birkenau lo scalo ferroviario dove venivano selezionati i deportati, le baracche dei detenuti, i resti dei quattro crematori esplosi ne costituiscono una agghiacciante testimonianza e allo stesso tempo un profondo monito per l’umanità.

Auschwitz I (1940-1942). Le condizioni di vita dei prigionieri: Debilitazione fisica e spersonalizzazione

Il polacco Woljciech Barcz, che fu internato ad Auschwitz dal primo all’ultimo giorno di vita del campo, testimonia. <<E’ un fatto che la maggior parte degli internati in lager moriva nei primi tre mesi dal momento dell’arrivo. La causa era che l’effetto demoralizzatore del sistema si abbatteva con enorme violenza su persone impreparate e in un certo senso schiacciava le persone moralmente fino a renderle pronte per una morte ravvicinata. Dopo tre mesi si creava qualcosa di simile alla capacità di resistenza che si acquista dopo una vaccinazione, per lo meno dal punto di vista morale>>. Chi infatti riusciva a superare il drammatico periodo iniziale poteva nutrire maggiori speranze di sopravvivenza: secondo una statistica elaborata dal Museo di Auschwitz-Birkenau, la mortalità nelle prime settimane raggiungeva anche l’11% degli internati, per ridursi al 3% e al 2% nelle settimane successive alla dodicesima.

Dopo il primo gruppo di prigionieri, gli arrivi al campo, per lo più di detenuti polacchi, si susseguirono con regolarità. Le condizioni di vita erano al limite della sopravvivenza: la fase iniziale della prigionia comportava una procedura di accoglienza con lunghe e snervanti attese, insulti e percosse, che destavano nei prigionieri la consapevolezza della loro totale impotenza e della incapacità di reazione ad ogni prepotenza e provocazione. In seguito ad un viaggio estenuante, stipati in vagoni sovraffollati, una volta giunti nel campo, erano costretti a spogliarsi e a rinunciare ad ogni effetto personale. In seguito subivano la rasatura dei capelli e una doccia disinfettante per poi ricevere una divisa a righe, costituita da un paio di pantaloni, una casacca e zoccoli di legno. Si attuava così in vero e proprio processo di spersonalizzazione, che privava l’individuo di ogni segno esteriore di riconoscimento e perfino della propria identità. La procedura di ingresso proseguiva poi con l’assegnazione di un numero che privava definitivamente gli internati del nome e si concludeva con l’assegnazione della baracca e del posto letto. Aveva così inizio un periodo di isolamento (Quarantena) di due o tre settimane, che costituiva una sorta di iniziazione alla vita del campo: in seguito ad un brusco risveglio e una magra colazione, erano previste ore di esercizi fisici, che scandivano il monotono e angosciante fluire delle giornate.

 La vita quotidiana veniva infatti regolata da uno schema fisso, che si ripeteva costantemente, determinando perfino l’annullamento del senso del tempo. Gli ordini venivano urlati con violenza a scandire rigorosamente il ritmo della giornata: sveglia all’alba (4 del mattino), una misera colazione, l’appello nella piazza del campo, dove i detenuti allineati in file di dieci spesso attendevano per ore sull’attenti, immobili, in ogni condizione climatica. Terminato il conteggio, venivano formate le squadre di lavoro (Arbeitskommando), che, accompagnate dall’orchestra del campo, partivano verso la propria destinazione. Spesso il lavoro doveva essere eseguito di corsa, sotto la costante vigilanza delle SS, pronte a non tralasciare alcuna opportunità per commettere soprusi e violenze.

La giornata lavorativa procedeva per circa 11 ore, senza interruzione, ma con frequenti incidenti e maltrattamenti da parte delle guardie. Al tramonto aveva inizio la marcia di ritorno, che si concludeva con l’appello serale, in cui migliaia di uomini, compresi i cadaveri dei deceduti, erano schierati in file ordinate di fronte alle SS, che procedevano nuovamente al conteggio. I prigionieri rientravano quindi nelle proprie camerate, dove ricevevano la cena e sfruttavano l’esiguo tempo a disposizione per medicarsi le ferite e riposarsi. L’elemento qualificante della prima fase di attività (1940-1942) del campo di Auschwitz si rivelò perciò il lavoro coatto, sfruttato come fonte di profitti e consapevolmente impiegato come strumento di sterminio.

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II. Auschwitz - Birkenau: costruzione del campo e struttura

L’8 ottobre del 1941 venne avviata la costruzione del Lager di Birkenau nell’area del paese di Brzezinka, a circa 3 km di distanza dal campo madre. Vennero impiegati nei lavori di costruzione migliaia di prigionieri di guerra russi (10.000 solo ad ottobre ) che demolirono le abitazioni e predisposero il terreno, dando inizio alla canalizzazione. La direzione dei lavori venne affidata all’SS – Sturmbennfuhrer Karl Bischoff, che cercò di portare a termine celermente l’edificazione del nuovo campo, a causa del sovraffollamento di Aushwitz I. Il progetto iniziale , approvato da Höss il 15 ottobre, prevedeva la costruzione di tre lager a ridosso dello scalo ferroviario, provvisti di reticolato spinato e torrette di guardia. Il campo, con una superficie di circa 175 ettari, avrebbe dovuto contenere più di 300 baracche, di cui 174 in muratura. Durante i lavori di ampliamento e costruzione migliaia di prigionieri morirono per sfinimento, rivelando così fin dai primi mesi la vera funzione del campo: l’annientamento degli uomini, in maggioranza ebrei, ( a partire dal 1942 ) che vi erano internati.

Nel marzo i prigionieri sovietici sopravvissuti vennero trasferiti a Birkenau, dove si aprì anche il campo femminile con l’arrivo delle prime 1998 internate, destinate, nel corso di un solo mese, a raggiungere il numero di 6.000.

Himmler ispezionò il campo nel luglio 1942, constatò il buon avanzamento dei lavori e ne ordinò l’ampliamento con l’aggiunta di nuovi settori ( BIa e BIb ). Venne così progettata l’articolazione di Birkenau in un complesso di sottocampi con funzioni relativamente autonome, in grado di contenere, complessivamente, 200.000 internati.

Il 15 agosto 1942 venne elaborato un nuovo piano di edificazione di Auschwitz, che, malgrado fosse destinato all’eliminazione degli ebrei, mantenne la denominazione di origine di Kriegsgefangenelager, campo di concentramento per i prigionieri di guerra.

Nel mese di luglio ebbe inizio la costruzione di quattro grandi crematori con le rispettive camere a gas ad opera degli stessi detenuti del campo, che ultimarono i lavori tra il marzo e il giugno del 1943.

Il campo era fondamentalmente diviso in tre settori: BI alla sinistra dello scalo ferroviario e BII , BIII alla sua destra. Nel corso del 1943 venne ultimato il settore BII, che comprendeva sei sottocampi e le baracche del magazzino Canada (Effektenlager ), che conteneva i beni confiscati agli ebrei.

Il primo sottocampo ad essere consegnato nel febbraio fu il BIIe, dove venne istituito un lager per le famiglie di zingari, nel luglio 1943 vennero attivati i settori BIId e BIIf, l’uno destinato ai prigionieri maschili, l’altro adibito ad un ospedale mal attrezzato e sempre sovraffollato.

Nell’agosto del 1943 venne aperto il lager di quarantena ( quarantanelager ) nel settore BIIa , dove i nuovi arrivati selezionati per il lavoro trascorrevano alcune settimane prima di essere trasferiti, nel settore BIIb venne aperto il campo per famiglie ebree, provenienti da Therehenstadt.

Nel dicembre del 1943 , tra il crematorio III e il crematorio IV con annesse camere a gas, vennero costruiti i bagni, la sauna, sala adibita alla disinfestazione, e nuovi magazzini per il deposito dei beni sequestrati agli ebrei. Nel 1944 venne ultimato un secondo raccordo ferroviario interno al lager, che consentiva ai treni di fermarsi a poca distanza dalle camere a gas.

Nel maggio 1944 nel settore BIII non ancora completato (Messico) venne istituito un campo di transito per ebree non ancora selezionate e registrate. I settori BIa e BIb, costruiti per 20.000 internate ebree, ne contenevano in realtà 27.000, fino a raggiungere il numero di 43.462 internate, tra le quali le epidemie si diffondevano con incontenibile rapidità.

Malgrado la finalità del complesso concentrazionario di Birkenau fosse l’annientamento degli ebrei provenienti dall’Europa, il lager costituiva comunque una cospicua riserva di forza lavoro: tra il 1941 e il 1945 infatti vennero aperti più di 40 campi di lavoro annessi a industrie siderurgiche, chimiche e edili, miniere e centrali elettriche.

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III. Birkenau: la macchina della morte (1942 – 1945)

L’arrivo e la selezione

Le selezioni dei prigionieri appena arrivati ebbero inizio a partire dal 4 luglio del 1942 con un gruppo di 100 ebrei provenienti dalla Slovacchia, di cui solo 372 furono considerati abili al lavoro. Esse avvenivano per lo più allo scalo merci esterno a Birkenau: immediatamente uomini e donne venivano separati e costretti a disporsi in file ordinate; un medico distingueva poi, con un cenno a sinistra o a destra, gli abili al lavoro e gli inabili, destinati alla camera a gas. Ai primi veniva dato l’ordine di mettersi in marcia per i rispettivi settori del lager, dopo aver abbandonato i propri bagagli; gli altri venivano condotti direttamente sui camion alle camere a gas.

Primo Levi ricorda: <<Una decina di SS stavano in disparte, l’aria indifferente, piantati a gambe larghe. A un certo punto, penetrarono tra di noi, e, con voce sommessa, con visi di pietra, presero a interrogarci rapidamente, uno per uno, in cattivo italiano. Non interrogavano tutti, solo qualcuno.

" Quanti anni? Sano o malato? "e in base alla risposta ci indicavano due diverse direzioni. >> [Primo Levi].

Le selezioni non avvenivano in base a criteri oggettivi che dipendevano dalla condizione fisica dei deportati, ma il fattore determinante era costituito dal fabbisogno di manodopera e dalla disponibilità di posti nel lager. Esse contribuivano a determinare una forte tensione psicologica anche tra coloro che venivano destinati al lavoro, i quali erano consapevoli di essere sfuggiti al tragico destino che si abbatteva sui loro compagni e familiari.

Il modello organizzativo del sistema di Aushwitz generava fin dal momento dell’arrivo inimicizie e rancori tra gli stessi prigionieri, vittime non solo delle efferatezze compiute dalle SS, ma anche dell’egoistico istinto di sopravvivenza dei propri compagni. Lengyel, infatti, che raccolse le sue esperienze a Birkenau, sostiene: <<Forse il più grande delitto commesso dalle SS contro i prigionieri non fu quello di mandarli alle camere a gas per annientarli, quanto piuttosto il tentativo, spesso riuscito di formarli secondo la propria immagine, di renderli esseri cattivi>> [H. Langbein].

Nella logica spietata del campo solo se aumentava bruscamente la mortalità s’innalzava anche la possibilità di essere ritenuto idoneo al lavoro: nel maggio del 1944 infatti, quando dall’Ungheria giunsero treni carichi di ebrei, proprio nel periodo in cui l’andamento della guerra richiedeva una più cospicua forza lavoro, venne allestita a Birkenau una nuova zona ( il Messico ), destinata ad ospitare i detenuti non ancora selezionati e immatricolati, ma che costituivano comunque un’utile riserva di lavoro.

Nell’ambito della selezione, che divenne un’operazione sempre più sofisticata dal punto di vista tecnico, furono i medici a ricoprire un ruolo preponderante, decidendo la percentuale di invio alle camere a gas e divenendo così, all’interno della complessa struttura burocratica del lager, i primi esecutori dello sterminio.

Quando, nella primavera del 1944, il campo di Aushwitz raggiunse il massimo della sua capacità di sterminio, giungevano a Birkenau 10.000 ebrei, destinati ad essere immediatamente gassati. Per facilitare le operazioni di selezione venne così costruita all’interno del lager una rampa ( judenrampe ), che consentiva ai convogli di fermarsi a poche centinaia di metri dai crematori. Nel maggio l’ex comandante Hoss ritornò ad Aushwitz per assumere il comando della operazione di sterminio degli ebrei ungheresi ( 400.000 ): da questo momento giunsero a Birkenau in media quattro convogli al giorno, carichi di uomini, donne e bambini, che, appena arrivati, venivano immediatamente tranquillizzati dalle SS sul loro destino: al fine di mantenere l’ordine e di evitare rivolte, veniva accuratamente celata la reale sorte dei deportati.

Le famiglie si radunavano così insieme con i bagagli cercando di confortarsi a vicenda, persuasi alla calma dall’atteggiamento apparentemente rassicurante delle SS.

Nelle camere a gas

La maggior parte delle donne, dei bambini, degli anziani e, più in generale, gli individui deboli erano destinati, già al momento del loro arrivo, alla camera a gas. Tuttavia anche all’interno del campo avvenivano periodiche selezioni, soprattutto nei Blocchi dei malati ma anche nei bagni e durante gli appelli generali. Anche nei sottocampi dipendenti da Aushwitz, come Monowitz, avvenivano con regolarità trasferimenti a Birkenau di prigionieri debilitati da sostituire con individui sani e più forti.

Fu a partire dall’autunno del 1942 che lo Zyklon B, sostanza chimica composta prevalentemente da acido cianidridrico e utilizzata inizialmente come antiparassitario, venne impiegata per iniziativa del direttore del campo Karl Fritzsch, come gas tossico sui prigionieri, dapprima polacchi e russi, in seguito ebrei. Il 20 gennaio 1942 infatti, in occasione della conferenza tenuta nei pressi di Berlino a Wannsee, con la presidenza di Eichmann, vennero distribuiti i compiti per l’organizzazione concreta della "soluzione finale della questione ebraica", che prevedeva lo sterminio di 11 milioni di ebrei. Hoss, nel proprio memoriale, ricorda: <<Andammo a ispezionare il terreno per stabilire il posto più indicato e decidemmo che era senz’altro la fattoria situata nell’angolo nordoccidentale del futuro terzo settore di edifici a Birkenau. Era una località fuori mano, protetta da sguardi indiscreti grazie a boschi e siepi alte e non troppo lontana dalla ferrovia. I cadaveri avrebbero potuto essere interrati in lunghe e profonde fosse nel prato contiguo. In quel momento non avevamo ancora pensato alla cremazione. Calcolammo che negli stanzoni già esistenti, dopo averli resi a prova di gas, avremmo potuto uccidere contemporaneamente 800 ebrei, servendoci di un gas appropriato>>.

Gli ebrei inizialmente venivano trasportati nel bunker adibito a camera a gas su camion. Una volta giunti a destinazione, veniva ordinato loro di spogliarsi per la disinfestazione e di distribuirsi in due camere della capienza massima di 800 persone: coloro che si trovavano in prossimità delle aperture dalle quali veniva immesso lo Zyklon B morivano per primi, seguivano gli anziani, gli ammalati, i bambini e infine anche gli uomini più vigorosi.

Dopo aver aerato le camere a gas, i cadaveri venivano caricati su carrelli di ferro che, scorrendo su binari, li trasportavano fino alle fosse in cui venivano deposti. Dal momento che le deportazioni aumentavano continuamente, ben presto fu necessario adattare a camera a gas un’altra fattoria, denominata bunker 2, con capienza di 1200 persone.

Alla fine del settembre del 1942,quando i forni crematori non erano ancora stati costruiti, a Birkenau si incominciarono ad ardere i cadaveri in enormi fuochi di legna. Le camere a gas in funzione a Birkenau nel 1942 ( bunker 1 e bunker 2 ) si rivelarono ben presto insufficienti per l’annientamento degli ebrei d’Europa, progettato dai nazisti. Nell’estate del 1942 vennero impegnati centinaia di detenuti per la costruzione di edifici che avrebbero dovuto contenere spogliatoi, camere a gas e inceneritori.

Nel giugno del 1943 erano ormai ultimati i cinque crematori con annesse camere a gas, in grado di incenerire 4756 cadaveri al giorno. Le camere a gas dei crematori II e III erano sotterranee e potevano contenere fino a 2.000 ebrei; nei crematori IV e V invece erano costituite da tre vani con una capacità complessiva di circa 2.000 persone. Una volta avvenuta la gassazione e provveduto ad aerare i locali, i corpi venivano trascinati su un ascensore elettrico che li riportava al piano terra, dove si trovavano i forni.

Ancora oggi è possibile ricostruire le drammatiche sequenze della morte di migliaia di prigionieri attraverso i manoscritti, sepolti e ritrovati, dei Sonderkommando, squadre speciali composte da prigionieri ebrei adibiti allo sgombero dei cadaveri nelle camere a gas, al taglio dei capelli, all’estrazione dei denti d’oro e alla combustione dei corpi: << Si viveva in una situazione al limite nel Sonderkommando. Ogni giorno, sotto i nostri occhi, migliaia e migliaia di innocenti sparivano nei forni… uomini, bambini, tutti innocenti ….Improvvisamente sparivano e il mondo restava muto. Ci sentivamo abbandonati dal mondo e dall’umanità >>.

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IV. Birkenau: l'orrore della vita quotidiana

Chi alla selezione veniva giudicato abile al lavoro era destinato a subire violenze e prevaricazioni, costretto ad una vita ai limiti della sopravvivenza e della tollerabilità.

Il Canada

Ciascun prigioniero, al momento della deportazione, portava con sé un bagaglio non superiore ai 50 kg, che conteneva oggetti di uso personale e pochi beni di valore, che venivano immediatamente espropriati al momento dell’arrivo sulla banchina ferroviaria. Poco prima di entrare nella camere a gas, i detenuti erano costretti a spogliarsi di ogni indumento e perfino dopo la morte ogni cadavere veniva privato dell’oro o dell’argento ancora presente sul corpo ( denti e ponti d’oro).

Con il termine " Canada " si designavano sia le squadre di internati adibiti al trasporto dei bagagli, sia l’area dei fabbricati in cui venivano deportati, sia infine il kommando che si occupava dello smistamento e della classificazione di questi beni. Davanti ai depositi venivano così accumulati, nei periodi in cui lo sterminio degli ebrei raggiunse un’alta intensità, cataste di vestiti, scarpe, valigie e perfino protesi, oggi conservate nel museo di Aushwitz I.

Nel 1944, durante la deportazione degli ebrei ungheresi, il deposito dei bagagli, denominato Canada II, venne trasferito in una zona a nord est del campo di Birkenau, che comprendeva 30 baracche. Il Canada I invece, alle dipendenze di Aushwitz I, si trovava oltre la stazione ferroviaria e comprendeva cinque baracche, un edificio di mattoni e un fabbricato contenente Zyklon B.

L’insieme degli edifici che costituivano il Canada I venne distrutto dopo la guerra e oggi non ne rimane più traccia. Il Canada II invece, dislocato all’interno del campo di Birkenau, venne incendiato dalle SS nel gennaio del 1945, al momento della evacuazione del campo.

Spesso all’interno dei magazzini si organizzava un vero e proprio mercato clandestino di vestiti, alimenti, alcolici, che consentiva ad alcuni detenuti di incrementare le proprie possibilità di sopravvivenza. La vita nel Canada costituiva perciò una fonte di benessere e di ricchezza, nonché un vero e proprio privilegio: i detenuti erano in grado di condurvi una vita decorosa e perfino piacevole. Afferma infatti Langbein: <<Il Canada era dunque una componente essenziale di Auschwitz, così come i morti viventi, i musulmani. All’ombra dei crematori, questi due estremi coesistevano in una vicinanza grottesca.>> [ H Langbein].

La sauna

La sauna costituiva il locale delle docce adibito alla disinfestazione, in cui ciascun internato selezionato per il lavoro veniva rasato e cosparso di disinfettante per evitare il proliferare di pulci e parassiti.

Essa rappresentava per gli internati il luogo dell’umiliazione in cui era possibile cogliere come il proprio destino fosse il completo annullamento della personalità all’interno di una uniforme massa umana. A Birkenau esistevano una sauna centrale, ma anche altri locali con simili funzioni nei settori BI e BII.

Primo Levi, ricordando la propria permanenza alla sauna, scrive: <<Ci hanno fatti entrare in una camera vasta e nuda, debolmente riscaldata. Bisogna mettersi in fila per cinque, poi bisogna spogliarsi e fare un fagotto degli abiti. Adesso è il secondo atto. Entrano con violenza quattro con rasoi, pennelli e tosatrici, hanno pantaloni e giacche a righe. Finalmente si apre un’altra porta: eccoci tutti chiusi, nudi tosati e in piedi, coi piedi nell’acqua, è una sala di docce.>> [ Primo Levi].

La registrazione

Gli internati selezionati per il lavoro venivano registrati con un numero di matricola tatuato sulla parte interna del braccio sinistro, che corrispondeva ad una serie ben precisa.

Le SS in fuga da Birkenau nel gennaio del 1945 diedero ordine di distruggere tutti i documenti del campo; tuttavia è possibile ricostruire approssimativamente il numero degli internati registrati, che ammonta a 400.207, di cui la maggior parte ebrei ( 205.000 ), i rimanenti polacchi ( 137.000 ), zingari ( 21.000 ) e prigionieri di guerra russi ( 12.000 ). Primo Levi, a proposito dell’operazione di registrazione, scrive:<< Il mio nome è 174.517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro. L’operazione è stata lievemente dolorosa e straordinariamente rapida. Pare che questa sia l’iniziazione vera e propria; solo mostrando il numero si riceve il pane e la zuppa. Ai vecchi del campo il numero dice tutto: l’epoca dell’ingresso, il convoglio di cui si faceva parte e di conseguenza la nazionalità>>.

Il numero di matricola diveniva così un inequivocabile segno di riconoscimento per il detenuto all’interno della rigida gerarchia del campo, in cui ogni forma di altruismo e solidarietà veniva rigorosamente subordinata al proprio istinto di sopravvivenza. << Ognuno tratterà con rispetto i numeri dal 30.000

all’80.000: non sono più che qualche centinaio e contrassegnano i pochi superstiti dei ghetti polacchi. Quanto ai numeri grossi, comportano una nota di essenziale comicità: il grosso numero tipico è un individuo panciuto, docile e scemo, a cui puoi far credere che all’infermeria distribuiscono scarpe di cuoio per individui dai piedi delicati, e convincerlo a corrervi e a lasciarti la sua gamella di zuppa in custodia..>> [Primo Levi]

La quarantena

Nel 1943 a Birkenau venne adibito alla quarantena un apposito settore del campo maschile ( BIIa), costituito da 16 baracche, concepite come stalle per cavalli e in realtà utilizzate come dimora per migliaia di prigionieri. La mortalità in questo settore era particolarmente elevata, a causa delle difficili condizioni di vita: epidemie, denutrizione, sovraffollamento, vessazioni, che accanto alla perdita di ogni spazio di intimità, determinavano il progressivo annullamento della personalità e della stessa umanità dei detenuti. Accanto al lento deperimento del corpo, procedeva inesorabile l’annientamento della propria interiorità e la morte dello spirito.

L’ospedale

A Birkenau l’infermeria, collocata nel settore BIIf, costituiva per gli internati una vera e propria anticamera della morte. A causa della scarsità di condizioni igieniche, delle carenze alimentari e delle stesse condizioni climatiche, era frequente la diffusione di malattie quali la dissenteria, la tubercolosi, la febbre, nonché di virulente epidemie. L’ospedale di fatto non costituiva un luogo in cui i prigionieri potessero ricevere effettivamente assistenza e soccorso o provare lenimento al proprio dolore: << Il blocco poi era una baracca di legno come le altre. Sopra la porta si poteva leggere la cinica scritta " Reparto infezioni ". Se si entrava, la prima spontanea reazione era quella di tirarsi indietro e tapparsi il naso. L’aria era disgustosa, irrespirabile. Il Blocco risuonava di urla e di lamenti. Sulle brande, dove ci sarebbe stato posto a malapena per cinque malati, giacevano in otto o dieci persone>> [ H. Langbein]. Tuttavia la maggior parte dei medici prigionieri, malgrado la propria condizione di precarietà li inducesse ad una stretta collaborazione con i colleghi SS, dimostrò un profondo senso di responsabilità nel prestare cure e attenzione ai detenuti ammalati, rivelando una insolita sensibilità in un clima di egoistica lotta per la vita, che ben si coglie nelle parole di una testimone polacca, che descrive una giovane infermiera internata: << Purtroppo la vita nel lager ha sviluppato in lei tutte le caratteristiche peggiori che la natura umana può avere. Non era soltanto egoista, ma anche pazzamente avida e solo preoccupata del proprio vantaggio>>.

Gli esperimenti

I medici SS svolgevano una varietà relativamente ampia di compiti: selezioni iniziali o periodiche nel campo, uccisioni di prigionieri debilitati, redazione di falsi certificati di morte, presidio delle operazioni di gassaggio, esecuzioni occulte.

Uno degli aspetti più atroci e inquietanti della loro attività è costituito dagli esperimenti, compiuti in nome del progetto politico-militare nazista o con un preciso scopo di ricerca scientifica. Particolarmente intense furono le ricerche sulla sterilizzazione di massa, di cui al processo di Norimberga vennero rilasciate precise testimonianze: << Se si riuscisse il più rapidamente possibile a trovare un modo per provocare in un tempo relativamente breve una sterilizzazione non visibile, avremmo una nuova arma formidabile.>> [ Documento del processo di Norimberga NO 035 ].

Carl Claberg, medico SS, cominciò a condurre esperimenti di sterilizzazione a partire dalla fine del 1942 nel campo femminile di Birkenau, impiegando una sostanza chimica irritante che provocava gravi infezioni; nel medesimo periodo Horst Shumann sottopose periodicamente detenuti e detenute ebrei a potenti irradiazioni di raggi x. Mengele, divenuto nel novembre del 1943 medico primario di Birkenau, condusse esperimenti soprattutto sui gemelli, ma anche su individui con anomalie congenite, che selezionava già al momento dell’arrivo e sottoponeva a lunghe e dolorose visite. Soprannominato "Dottor Morte", egli rimase ad Aushwitz fino al giorno della sua evacuazione e quando fuggì, dileguandosi per sempre, portò con sé tutti i risultati dei suoi esperimenti medici.

Nell’ambulatorio medico di Birkenau vennero effettuate anche altre ricerche sui mutamenti dell’organismo umano per effetto della fame, sulla efficacia e tollerabilità di farmaci non ancora in commercio, sui differenti tipi di cancro, sui tempi di incubazione di malattie come il tifo, sui tempi di guarigione delle ferite, attraverso esperimenti che costituirono complessivamente un esteso e sistematico programma di uccisioni compiuto in nome del progresso della scienza medica.

Il campo degli zingari

Il campo per le famiglie zingare (Familienzigeunerllager) venne collocato nel settore BIIe e separato con filo spinato dal resto del campo, dal momento che gli individui internati erano classificati come asociali. Comprendeva due blocchi cucina, quattro edifici in muratura provvisti di bagni e latrine e 32 baracche, che accoglievano complessivamente 21.000 detenuti. La deportazione degli zingari fu decisa da Himmler il 16 dicembre 1942: prevedeva il trasferimento immediato di famiglie intere che, una volta giunte al campo, non venivano sottoposte a selezione ma destinate immediatamente alle proprie baracche. In genere venivano internati zingari tedeschi e boemi , ma anche di altre nazionalità, con l’intenzione di conservarne le strutture familiari e le abitudini. Höss infatti ricorda: << Himmler voleva che venissero assolutamente conservate le due grosse stirpi principali degli zingari. Era sua opinione, infatti, che queste discendessero in linea diretta dagli antichissimi popoli indo-germanici e che si fossero conservate abbastanza pure come specie e come costumi. Questi zingari dovevano essere raccolti tutti insieme, a scopo di studio, esattamente catalogati e protetti come monumenti storici. In seguito si sarebbe dovuto raccoglierli in tutte le parti d’Europa e sistemarli in alcune zone residenziali loro assegnate.>> [ Höss].

Malgrado il breve periodo di vita nel lager ( circa un anno e mezzo ), le scarse condizioni igieniche e l’affollamento eccessivo, le famiglie rimasero unite e solidali, cercando di vivere in modo decoroso. Anche le nascite di bambini erano numerose, nonostante le loro condizioni di vita, soprattutto a causa delle epidemie, si rivelassero particolarmente difficili e la loro aspettativa di vita fosse estremamente limitata:

<< Su un pagliericcio giacciono sei bambini che hanno pochi giorni di vita. Che aspetto mostrano! Le membra sono secche e il ventre è gonfio. Nelle brande accanto, ci sono le madri; gli occhi esausti e ardenti di febbre. Estenuate, pelle e ossa, giacciono lì, spesso nude. A quanto sembra non si rendono neanche più conto della loro nudità >>. [ H. Langbein].

Fu proprio sui bambini zingari , per lo più gemelli, che vennero eseguiti i più crudeli esperimenti ad opera di Mengele, finché nel maggio 1944 venne disposta la liquidazione graduale del campo: una parte degli zingari venne trasferita in altri campi; coloro che rimasero a Birkenau vennero uccisi nelle camere a gas.

Il campo femminile

I settori BIa e successivamente anche il BIIb erano adibiti al campo femminile, che ospitava non solo donne, ma anche bambini. Le detenute deportate a Birkenau in stato di gravidanza venivano per lo più giudicate inabili al lavoro e gassate o uccise con iniezioni di fenolo, anche se a partire dal 1943 si diffuse la pratica dell’aborto coatto. In ogni caso, quando il parto avveniva, i neonati venivano immediatamente uccisi con iniezioni di fenolo o annegati in acqua. Le donne nel campo riuscirono comunque a sviluppare un forte senso di solidarietà, dimostrando una notevole disponibilità all’aiuto reciproco. Frequentemente si privavano del cibo loro destinato per garantire un’alimentazione più calorica ai bambini, vivendo in condizioni ancora più proibitive rispetto a quelle degli uomini, rinchiuse in 800 o 1.000 in blocchi che potevano contenerne al massimo 700. Ogni giorno si recavano al lavoro in squadre, per poi ritornare, stremate, ad assistere i bambini.

Nel campo femminile dilagavano inoltre con estrema facilità epidemie di tifo, che colpivano soprattutto gli individui in età più tenera, deportati nel campo in numero sempre più alto: a partire dal 6 gennaio 1943 l’internamento dei minori divenne massiccio, costituendo un ulteriore onere per le detenute, ma anche un efficace strumento per conservare, attraverso un coraggioso senso di maternità, la propria personalità e affermare la propria dignità.

Il fenomeno della resistenza

A Birkenau non mancarono episodi di resistenza e di mutuo soccorso tra gli internati: << Nel lager siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte certa. Una facoltà ci è rimasta: e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso>>. [ Primo Levi].

La forma più comune di dissenso non si esprimeva certo in formazioni organizzate con un dettagliato piano di azione, ma in atti di eroismo individuale o più spesso nel tentativo di resistenza spirituale, nella diffusione clandestina di attività culturali o di riti religiosi, in atti di solidarietà che comportavano il rischio della vita, in una intensa azione di documentazione per rivelare al mondo esterno i crimini commessi dai nazisti, in rivolte spontanee e organizzate e in sporadiche evasioni.

Ogni forma di resistenza interiore, che attraverso un gesto, uno sguardo, una parola, fosse in grado di combattere il processo di annientamento e lacerazione della psiche umana, poteva a diritto essere considerata una forma di resistenza al progetto nazista di eliminazione degli ebrei. Le forme più semplici di soccorso erano costituite dagli aiuti alimentari e dall’assistenza nei confronti dei detenuti più deboli, attivate a livello individuale ma anche pianificate su più vasta scala.

Nel campo di Birkenau venne fondato nel settore BIb un gruppo clandestino che aveva lo scopo di salvare dalla selezione gli internati ricoverati in ospedale; nacquero inoltre altre cellule clandestine militari, che divennero oggetto, a partire dal 1943, di una feroce repressione da parte delle autorità del campo: 51 internati sospettati di attività illegale vennero fucilati a gennaio e 54 assassinati in ottobre. Tuttavia a Birkenau si sviluppò un altro centro cospirativo, che aveva sede nel settore BIIf, il cui scopo era fondamentalmente costituito dal soccorso e dal sabotaggio. Malgrado il lager disponesse di un organizzato sistema di difesa, vennero effettuate anche evasioni, per lo più azioni individuali con lo scopo di sottrarsi alla vita nel lager o di diffondere all’esterno informazioni sul campo di sterminio. Le probabilità che un internato in fuga venisse catturato in seguito a minuziose ricerche delle SS erano molto alte; tuttavia un numero non esiguo di evasioni, progettate con estrema lucidità, senza trascurare ogni accorgimento ( dal travestimento allo scavo di gallerie sotterranee e allo spargimento di tabacco o trementina per eludere il fiuto dei cani delle SS ), ebbe successo. L’azione certamente più conosciuta fu quella di padre Kolbe, religioso cattolico internato ad Aushwitz nel 1941, che scelse di morire al posto di un prigioniero polacco padre di famiglia, dimostrando come fosse possibile strappare alla direzione del lager il potere assoluto di decidere a propria discrezione della vita e della morte , scegliendo eroicamente il sacrificio , dal momento che: << Dover stare a guardare impotenti come un’altra persona venga tormentata e soffra senza poterla aiutare è una delle cose peggiori del mondo.>> [ H. Langbein].

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