Tra il 1939 e il
1945la Germania nazista, con la complicità di molti, ha sterminato dai
cinque ai sei milioni di ebrei, cioè oltre la metà delle comunità ebraiche del
Vecchio Continente; un terzo degli ebrei sparsi nel mondo. Questo genocidio (in
ebraico shoah, letteralmente: tempesta, catastrofe), deciso alla fine
dell'estate o all'inizio dell'autunno 1941, è stato pianificato come
un'operazione industriale. Lo sterminio di un intero popolo, portato via da
tutti gli angoli del continente per essere condotto sui luoghi del massacro,
non ha equivalenti nella Storia, almeno fino a oggi. Questa soppressione
collettiva è il punto d'arrivo razionale e burocratico di un delirio ideologico
che ha radici lontane nella Storia dell'Occidente.
Deciso nel 1941,
organizzato nel gennaio 1942durante la riunione della di Wansee, il
genocidio del popolo ebraico non è il risultato di un percorso lineare iniziato
nel 1933e culminato nel 1941. E ancor meno di un passaggio diretto
dall'antisemitismo cristiano all'antisemitismo nazista anche se, checché ne
dica la dichiarazione pontificia sulla shoah pubblicata nel marzo 1998,
l'antisemitismo cristiano, fautore, per secoli, di una cultura del disprezzo,
ha finito per diventare lo sfondo intellettuale dell'Europa. E per fornire
all'antisemitismo nazista il quadro di riferimento in materia di esclusione,
almeno fino al 1941.Ma all'origine di questo disastro non c'è una
causalità univoca e coerente, come del resto dimostra il semplice riassunto dei
fatti.
1.I presupposti del disastro.
L'industrializzazione, il rapido processo di urbanizzazione e l'esodo dalle
campagne nell'Europa occidentale durante il
xix secolo mettono in discussione
la struttura tradizionale della società. L'antisemitismo laico e biologico (la
razza), che prende forma sul modello dell'antisemitismo cristiano, intende dare
una risposta allo smarrimento dell'epoca. In questo senso, il razzismo europeo
della fine del xix secolo, e piú
ancora un antisemitismo assillato dall'ossessione del «complotto ebraico»,
sono l'espressione di una crisi europea della modernità. L'«ebreo», assimilato
al potere, diventa il capro espiatorio del malcontento.
Ma, più in
generale, la fine del xix secolo
segna l'apogeo del contro-Illuminismo, con il suo miscuglio di darwinismo
sociale e darwinismo razziale, rifiuto della democrazia e della modernità.
Specialmente in Germania, ben prima del 1914, il pangermanesimo aveva ribadito
con insistenza l'idea della nazione chiamata a uscire dai propri confini per
dominare l'Europa, se non addirittura il mondo. In seguito alla disfatta del
1918 l'esercito tedesco, senza aver subito un vero disastro, firma l'armistizio
dell'11 novembre in terra nemica. Priva di tradizione democratica, una
parte della Germania identifica il regime di Weimar con la sconfitta e con il
tradimento. Il rifiuto degli ebrei, a malapena sopito, si riacutizza al primo
manifestarsi di una crisi politica, economica e sociale (1918-1923, poi
1930-1933). Inizialmente, il nazionalsocialismo (in breve, e in lingua
tedesca, nazismo) non è che l'erede di una lunga tradizione germanica di
razzismo biologico e di rifiuto della democrazia. Antidemocratico, antimarxista
e pangermanista, esso cresce come ideologia del risentimento e della violenza. A
partire dal 1930 è destinato a prosperare sul terreno di una crisi sociale
senza precedenti. È Adolf Hitler, nel 1921, a trasformare il partito operaio
tedesco, creato nel 1919, in partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi
(Nsdap); ben radicato in Baviera, anche in seguito al clima turbolento del
dopoguerra, esso tenta di prendere il potere con la forza nel novembre 1923, a
Monaco. È un fallimento. Incarcerato per un breve periodo nel 1924, Hitler esce
di prigione convinto della necessità di una strategia più opportunista, in cui
si associno legalismo e terrore.
Il Partito
nazista riesce in qualche modo a sopravvivere fino al 1929. Alle elezioni del
1928 non ottiene che 12 deputati (su un totale di circa 500) al Reichstag. La
crisi sociale gli fornisce il trampolino di lancio di cui aveva bisogno. Grazie
alle sue qualità di oratore, Hitler catalizza tutto il malcontento di una
Germania brutalmente colpita dal marasma economico. Egli fa suoi i temi ormai
noti della rivoluzione conservatrice tedesca uniti a quelli, più moderni, del
razzismo biologico. Le elezioni del 1930 sono un duro colpo per la fragile
democrazia tedesca: il Nsdap vede i suoi deputati aumentare da 12 a 107 e
continua a crescere fino all'estate 1932. Questo progresso è favorito
dall'aggravarsi della crisi (tra il 1929 e il 1933 i disoccupati passano da uno
a sei milioni), dalla convinzione dei politici di destra di poter integrare il
nazionalsocialismo nel sistema e dalle divisioni della sinistra. Alle elezioni
legislative del luglio 1932, il Nsdap ottiene il 37,4 per cento dei voti. Il 30
gennaio 1933, su consiglio del politico von Papen, il presidente della
Repubblica, maresciallo Hindenburg, chiama Adolf Hitler al posto di cancelliere
della Germania.
Diversamente
dall'Italia, dove è quasi inesistente, l'antisemitismo costituisce un elemento
centrale del fascismo tedesco. L'imperialismo tedesco e il pangermanesimo si
basano sul concetto di nazione come emanazione della razza, del sangue e del suolo,
esaltazione di una «lotta per la vita» che schiaccia le etnie più deboli.
Queste tesi impregnano largamente la società tedesca e spiegano perché, già
prima del 1914,
il razzismo tedesco, che esaltava la forza,
l'istinto e la selezione, abbia messo il «particolarismo ebraico» al centro
delle proprie preoccupazioni.