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2. L'esclusione legale.

In Germania, dal 1933 al 1939, si susseguono mi­sure di emarginazione, di espropriazione e di sfrutta­mento economico. Gli ebrei vengono progressivamen­te esclusi dalla nazione tedesca (leggi di Norimberga, 1935). Poi vengono marchiati: con il nome obbligato­rio a partire dal 1938 (nell'agosto di quell'anno i ma­schi ebrei sono costretti ad aggiungere al loro nome quello di Israél, e le femmine quello di Sara) e con la stella gialla, introdotta nel 1941. Queste misure, adot­tate nella maggior parte dei casi in tempo di pace, su­scitano proteste e indignazione nel mondo, nonché in­viti al boicottaggio commerciale (poco praticato fino al novembre 1938), ma niente di più. Hitler, vedendo gli ebrei abbandonati quasi da tutti al loro destino, si con­vince di poter andare più lontano. Prudentemente, aspetta il momento opportuno.

Dopo le vittorie tedesche dell'autunno 1939 e della primavera 1940, la Germania nazista controlla una grossa fetta dell'ebraismo europeo. Essa passa allora al­la fase successiva, quella della reclusione degli ebrei in ghetti, nell'Europa dell'Est, per poi condurvi una len­ta opera di estinzione che, nell'estate del 1941, si tra­sforma in un vero e proprio progetto politico.

A partire dall'aprile 1933, i funzionari ebrei tede­schi vengono destituiti dai loro incarichi. Poi, dopo una messa in scena giuridica, viene praticato su vasta scala l'esproprio della comunità ebraica («arianizzazione»). Il 31 dicembre 1938, le imprese gestite dagli ebrei, non­ché i lavoratori ebrei indipendenti, devono cessare ogni attività. Del resto, già dal 1933 le professioni liberali (avvocato, medico, ecc.) erano state progressivamente vietate agli appartenenti alla religione ebraica. Il 3 di­cembre 1938, i proprietari ebrei devono vendere gli ul­timi beni in loro possesso. Tra il 1933 e il 1945, per il solo territorio del Reich, il regime promulga circa due­mila ordinanze e decreti contro gli ebrei.

Il decreto di Norimberga, detto «Legge per la pro­tezione del sangue e dell'onore tedeschi», viene ema­nato il 15 settembre 1935 durante il congresso del Nsdap. L'«ebreo» viene definito tale a partire dalla sua ascendenza. Non appartenendo alla «razza ariana», non ha diritto di cittadinanza. I matrimoni e, più in ge­nerale, i rapporti sessuali tra ebrei e non ebrei sono vie­tati («crimine di profanazione razziale»). Non è l'ap­partenenza religiosa a preoccupare i seguaci dell'ideo­logia nazista, ma il principio razziale e ideologico, l'ossessione del sangue infangato.

Per trovare una soluzione al problema dei rifugiati tedeschi (e austriaci a partire dal marzo 1938), e per rispondere alla richiesta del presidente americano, una conferenza internazionale si riunisce a Evian, nel luglio 1938, dopo che la Svizzera, in un primo tempo interpellata, decide alla fine di tirarsi indietro. Non trovando un luogo d'asilo per i rifugiati ebrei, la conferenza dichiara che non intende contestare alla Germania il diritto di sovranità sui propri cittadini.

Il 17 novembre 1938, il consigliere dell'Ambasciata te­desca von Rath viene assassinato a Parigi da un giovane ebreo polacco. Il 9 novembre 1938, Hitler, dietro sug­gerimento di Goebbels, decide di lasciare « mano libera ai SA» i quali, presto raggiunti dalle SS e dalla Gioventù hitleriana, si lanciano all'assalto della comunità ebraica dalla sera del 9 novembre al pomeriggio del 10. Un cen­tinaio di ebrei vengono assassinati, ventimila arrestati, aggrediti e umiliati, alcune donne violentate (malgrado il divieto razziale), case e negozi saccheggiati, sinagoghe incendiate. La comunità ebraica è condannata a pagare un multa di un miliardo di marchi che il regime preleva dai sette miliardi di beni confiscati a partire dall'aprile 1938. Il pogrom è condannato con fermezza dall’Europa occidentale e dagli Stati Uniti, che tuttavia si guar­dano bene dall'aprire le frontiere. Ma agli occhi dei na­zisti, la Notte dei Cristalli è un fallimento. All'antise­mitismo emotivo, il regime presto preferisce quello burocratico. Quattro anni più tardi, la «Soluzione fina­le» sarà appunto un processo legale e burocratico di di­struzione, agli antipodi della logica del pogrom.

Appena iniziata la guerra, per gli ebrei del Reich vie­ne programmata una meticolosa politica di raziona­mento del cibo. La stessa politica di esclusione viene applicata agli alloggi e ai trasporti. Nel marzo 1940, le tessere alimentari sono contrassegnate dalla lettera J (poi, in diagonale, dalla parola jude nel marzo 1942). Nel settembre 1941, il governo impone la stella gialla a tutti gli ebrei dai sei anni in su. Nell'ottobre 1941, viene impedita agli ebrei l'emigrazione fuori dall'Europa: è l'inizio di una nuova logica.

Dopo la vittoria sulla Polonia, nel 1939, la Germa­nia controlla 3,3 milioni di ebrei polacchi. Nel no­vembre di quell'anno, Frank, governatore della Polo­nia occupata (Governo generale), ordina agli ebrei po­lacchi di età superiore ai dodici anni di portare un «braccialetto ebraico». Immediatamente, viene ridot­ta la libertà di movimento, viene imposto il coprifuo­co, è vietato agli ebrei l'uso delle ferrovie.

Dalla fine del 1939, e senza un piano generale che preveda un'istituzione permanente, gli ebrei vengono riuniti e ammassati (da sei a sette abitanti per stanza) in un quartiere cittadino, presto recintato da alte mu­ra, e sotto coprifuoco dalle sette della sera alle sette del mattino. Ufficialmente, si tratta di arginare il tifo e di eliminare il mercato nero ebraico. Ufficiosamente, lo scopo del ghetto è la «selezione naturale» attraverso la fame, lo sfinimento, le malattie.

Lódž è il primo grande ghetto (aprile 1940), presto seguito da Varsavia (novembre 1940); da Cracovia (mar­zo 1941), da Lublino (aprile 1941) e da Lwow (dicem­bre 1941). Alla fine del 1941, quasi tutti gli ebrei sotto il Governo generale sono ammucchiati nei ghetti, mentre già da sei mesi i tedeschi hanno iniziato la loro politica di sterminio nelle zone occupate dell'Unione Sovietica.

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© luciano zappella