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7. Il bilancio.

I massacri proseguono fino alla fine in modo caotico. È difficile fare un bilancio: la contabilità tedesca non è esauriente, e numerosi archivi sono stati di­strutti, a cominciare dalla documentazione dell'ufficio di Eichmann. Procedendo per sottrazione, come fa lo storico Raul Hilberg, si arriva a un bilancio oscillante tra i cinque e i sei milioni di ebrei assassinati, due ter­zi dei quali originari della Polonia e dell'Urss, per un totale equivalente al 50% dell'ebraismo euro­peo e a circa il 40% di quello mondiale. Al di là delle cifre, il genocidio non è solo una successione di uccisioni individuali, è anche un etnocidio, è la distru­zione di una civiltà, la cosiddetta Yiddishkeit.

Nel maggio 1945, restano in Europa un milione e duecentomila ebrei, molti dei quali in movimento at­traverso il continente. Quattrocentomila ebrei polac­chi lasciano l’Urss, e circa duecentomila si ritrovano « a casa loro». Ma il pogrom di Kielce, nel luglio 1946, determina la partenza verso occidente di oltre la metà di essi. Duecentocinquantamila ebrei finiscono in Germania o in Austria, in campi di «persone senza patria» (DP). Circa centocinquantamila raggiungeranno il fu­turo Stato d'Israele. Gli altri si recheranno in maggio­ranza negli Stati Uniti.

 

7.1. I processi.

Tra il 1942 e il 1945, i giuristi dei paesi alleati, fra i quali, in prima fila, Raphael Lemkin, definiscono la nozione di «crimine contro l'umanità», a partire dalla quale viene elaborato il testo dell'8 agosto 1945, fir­mato dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dalla Francia e dall'Urss. Su questa base, il 20 novembre 1945, da­vanti a un tribunale militare interalleato, si apre il pro­cesso di Norimberga, con il compito di giudicare i prin­cipali responsabili nazisti.

Il genocidio ebraico, molto presente nel processo, viene tuttavia «diluito» nella massa generale dei cri­mini nazisti. Durante i dieci mesi del processo, nes­suno dei ventuno accusati presenti si dichiara colpe­vole. Il verdetto viene reso pubblico il primo ottobre 1946: undici condannati a morte, tre assoluzioni e pe­ne detentive che variano dai dieci anni all'ergastolo. Nessuno degli altri dodici processi condotti dai tri­bunali militari interalleati, tra il 1946 e il 1948, ri­guarderà il genocidio.

Adolf Eichmann, capo della sezione iv A4b del Rsha (l'ufficio responsabile della «questione ebraica»), fu il primo esecutore della «Soluzione finale» in Europa. Aiu­tato dall'organizzazione segreta nazista Odessa, e da al­cuni ecclesiastici, si imbarca nel 1950 per l'Argentina. Viene rapito nel maggio 1960, a Buenos Aires, da agen­ti israeliani del Mossad e spedito in Israele; il suo processo si apre a Gerusalemme 1'11 aprile 1961. A difenderlo sono due avvocati tedeschi scelti da lui e pagati dallo Stato di Israele. Il processo, trasmesso alla radio, viene seguito dall'intero paese. È una formidabile lezione di politica e di Storia, la cui misura è testimoniata dalla seguente dichiarazione del procuratore Hausner, fin dai primi giorni: «Giudici di Israele, nel momento in cui mi alzo davanti a voi per introdurre l'atto d'accusa non sono so­lo. Al mio fianco, in queste ore, adesso, in questo luo­go, si alzano sei milioni di accusatori».

Condannato a morte il 15 dicembre 19 61, Eichmann viene giustiziato il 31 maggio 1962.

La guerra fredda è stata una fortuna per i criminali nazisti. Gli Stati Uniti per primi hanno chiuso gli oc­chi sui colpevoli e qualche volta li hanno perfino aiu­tati a risollevarsi, come nel caso dei medici sperimen­tatori... Sui cinquemila criminali di guerra censiti da­gli Alleati nel 1945, solo 185 sono stati giudicati a partire dal 1946. Nel 1955, all'epoca della prima legge di amnistia, nelle prigioni della Repubblica Federale di Germania restavano ancora solo venti condannati per aver partecipato alla distru­zione dell'ebraismo europeo.

La clemenza ha il sopravvento: i funzionari minori del crimine vengono colpiti più del personale di alto rango, gli esecutori materiali più degli assassini che non si sono sporcati le mani, quali i responsabili delle fer­rovie, i costruttori dei campi, dei crematori e dei ca­mion «speciali», i fornitori del gas Zyklon.

La maggior parte degli assassini sono rimasti impu­niti. Molti sono fuggiti in Sudamerica, aiutati dalla Chiesa cattolica. Alcuni sono stati accolti da Stati ara­bi vicini a Israele. Certi hanno continuato a vivere in Germania mantenendo la loro vera identità. Coloro, poi, che sono caduti nelle mani della giustizia, respon­sabili degli Einsatzgruppen o assassini burocrati del ghetto di Varsavia, hanno subito pene ben poco seve­re. Imputati responsabili della morte di ventimila per­sone sono stati condannati a dieci anni di detenzione e poi liberati, vuoi per buona condotta, vuoi per ra­gioni di salute; oppure, dopo quattro o cinque anni, hanno semplicemente beneficiato dell'amnistia.

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© luciano zappella