1. CANCELLARE L'UMANO DELL'UOMO |
||
Il
primo gruppo di testimonianze ci porta direttamente al cuore
dell'esperienza del lager in quanto progetto sistematico di annientamento
dell'umana personalità. Fin dal primo momento in cui giungono al campo i
detenuti subiscono una violenta cancellazione di tutto ciò che
rappresenta la loro storia, la loro cultura, la loro identità. Essi sono
spogliati, rasati, marchiati sul braccio con un numero che sostituirà
definitivamente il loro nome, rivestiti con gli abiti dei detenuti che si
distinguono solo per qualche particolare indicante l'appartenenza ad una
categoria (ebrei, detenuti comuni, detenuti politici...).
Il
lager impone alle vittime questa metamorfosi, da esseri umani ad oggetti,
a numeri, ad elementi di un sistema, parti d'una macchina, sempre
perfettamente rimpiazzabili. Spogliati d'ogni libertà e d'ogni
individualità, le vittime del Lager devono ridurre il proprio livello
d'esistenza al puro momento biologico: la fame, il cibo diventano la sola
ragione d'esistenza. Non c'è posto per la spiritualità, per l'interiorità,
per le manifestazioni dell'arte o della cultura.
Ciò
che conta è sopravvivere, nulla di più.
Quando questa metamorfosi si compie integralmente, come ci racconta Antelme, l'uomo perde definitivamente la propria condizione umana, diventa un "nessuno" irriconoscibile, incapace d'ogni contatto, d'ogni scambio con l'altro uomo. E precipita nell'abisso della morte.
Viktor Frankl, Uno psicologo nei Lager (1946)
Robert Antelme, La specie umana (1947)
Jean Améry, Intellettuale a Auschwitz (1966)
|