Le assemblee popolari a Roma Nonostante il potere dei magistrati e il predominio del Senato, in età repubblicana la popolazione partecipava attivamente alla vita della città. I luoghi istituzionali della sua partecipazione erano le assemblee, alle quali spettavano competenze in materia elettorale, legislativa e giudiziaria. In quest’epoca, accanto ai vecchi comizi curiati vennero a porsi altre assemblee: piú precisamente i comizi centuriati, i comizi tributi, i concili tributi (concilia plebis). Secondo
la tradizione i comizi centuriati si devono a Servio Tullio, ma in realtà
risalgono ai primi decenni della repubblica. Essi erano basati sulla
divisione della popolazione in cinque classi di censo (cioè sulla base
della ricchezza), e per segnalare la loro superiorità su tutte le altre
assemblee popolari erano detti comitiatus maximus. Nei comizi ogni classe era organizzata in gruppi chiamati centurie in quanto ognuno di essi doveva fornire all’esercito un contingente («centuria», ossia in origine un gruppo di cento) di soldati o cavalieri: la prima classe forniva 80 centurie di fanti e 18 di cavalieri; la seconda, la terza e la quarta classe fornivano 20 centurie di fanti ciascuna; la quinta classe forniva 30 centurie di fanti e i proletari 5 centurie di uomini non armati (fabbri, trombettieri). Su un totale di 193 centurie (ognuna delle quali poteva esprimere un solo voto), ben 98 appartenevano alla prima classe, che aveva cosí sempre la maggioranza assoluta: con questo sistema la funzione legislativa era esclusivamente nelle mani dei cittadini piú ricchi. I comizi
centuriati eleggevano consoli, censori e pretori, decidevano paci e
guerre, potevano condannare a morte i cittadini, e avevano inoltre
competenza legislativa: approvavano o respingevano, senza poterle
cambiare, le proposte di legge dei magistrati. Da un punto di vista
politico, quindi, con i comizi centuriati, si creava una coalizione tra
patrizi e plebei ricchi e alla tradizionale contrapposizione
patrizi-plebei, si sostituiva quella tra ricchi e poveri. I concili tributi, invece, erano le assemblee in cui si riuniva soltanto la plebe. Le loro deliberazioni, prese su richiesta (rogatio) di un tribuno, erano chiamate plebis scita, ovvero «decisioni, pareri della plebe». Solo nel 287 a.C. una lex Hortensia stabilí che i plebisciti avessero valore di legge anche per il patriziato. Poiché i patrizi continuarono a non essere ammessi ai concili della plebe, quest’ultima, da sola, poteva emettere deliberazioni vincolanti per tutta la città.
|