I PRIMI DUE SECOLI DELL'IMPERO ROMANO

 

GLI IMPERATORI DELLA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA (27 A.C. - 68 D.C.)

TIBERIO

Morto Ottaviano la soluzione insita nell'adozione e nella candidatura alla sua successione del figliastro Tiberio, che sua moglie Livia Drusilla aveva generato in prime nozze da Tiberio Claudio Nerone (di qui la denominazione di dinastia giulio-claudia), fu in un certo senso obbligata: Augusto cercò così di conferire una parvenza di ereditarietà alla successione. Tiberio, divenendo figlio – pur se adottivo – di un uomo dai poteri straordinari, assumeva anch'egli quell'alone di auctoritas che gli permetteva di governare, togliendo così ai cittadini romani le residue speranze che la repubblica potesse essere restaurata: bastava solo che Tiberio, perpetuando la finzione paterna, si facesse assegnare dal Senato la summa dei poteri repubblicani, e così avrebbero dovuto fare i suoi successori.

CALIGOLA

Con il consolidarsi del sistema di governo imperiale, la storia di Roma si identificò dunque con quella dei regni dei singoli imperatori. Tiberio, che succedette al patrigno Augusto nel 14 d.C., era un amministratore capace, ma fu oggetto di generale antipatia e sospetto, soprattutto da parte dell'aristocrazia senatoria. Egli si accattivò i corpi scelti dell'esercito, secondo un costume che nei secoli fu tipico di molti imperatori, e tenne di stanza a Roma la guardia pretoriana. Il prefetto del pretorio Elio Seiano – durante i frequenti soggiorni dell'Imperatore nella sua villa di Capri – si comportava di fatto nell'Urbe come se fosse detentore di un potere assoluto, quasi monarchico; ciò fu inizialmente tollerato, o addirittura incoraggiato da Tiberio, che dovette però infine eliminare Seiano a causa dell'eccessiva spirale di violenza che aveva innescato.

A Tiberio successe Caligola (nipote di suo fratello Druso Maggiore), ritenuto dalla tradizione senatoria mentalmente instabile e tirannico, e che invece più probabilmente dovette assumere atteggiamenti, a livello sia personale che politico, propri della tradizione dei regni ellenistici, del tutto estranei alla cultura romana. Caligola regnò dal 37 al 41 d.C., allorché venne ucciso dai pretoriani che acclamarono imperatore suo zio Claudio, durante il cui regno (41-54 d.C.) fu condotta a termine la conquista della Britannia. Claudio proseguì l'opera di formazione di una solida burocrazia statale, iniziata da Augusto e Tiberio; la tradizione, però, ha consegnato di questo imperatore un'immagine piuttosto negativa, enfatizzando l'influsso che su di lui avrebbero avuto le mogli Messalina e Agrippina Minore e alcuni potenti liberti di corte.

CLAUDIO

NERONE

Claudio morì nel 54 d.C., forse avvelenato da Agrippina che voleva imporre sul trono il figlio di primo letto Nerone. Costui iniziò a governare sotto la saggia guida e i consigli del filosofo Seneca e di Sesto Afranio Burro, prefetto del pretorio, ma i suoi successivi comportamenti sregolati e tirannici, improntati a una concezione assolutistica del potere ispirata al modello ellenistico orientale, portarono nel 65 d.C. alla congiura senatoria ispirata da Caio Calpurnio Pisone (poi repressa nel sangue) e alla sollevazione militare guidata da Galba: Nerone si suicidò nel 68 d.C., segnando così la fine della dinastia degli imperatori Giulio-Claudi.

GLI IMPERATORI DELLA DINASTIA I FLAVIA (69-96 D.C.)  

I brevi regni di Galba, Otone e Vitellio, tra il 68 e il 69 d.C. (l'"anno dei quattro imperatori"), furono seguiti da quello del valente generale Vespasiano e dei suoi figli, Tito e Domiziano, che diedero vita alla dinastia dei Flavi. Il regno dei Flavi fu caratterizzato dal consolidamento dell'economia e dell'amministrazione imperiale, oltre che dal principio dinastico "diretto" (implicante cioè motivi "di sangue") nella successione al potere, e – soprattutto – dall'affermarsi di una nuova concezione del potere imperiale stesso.

Vespasiano, infatti, promulgando nel 69 d.C. la lex de imperio Vespasiani tolse all'istituto del principato le caratteristiche di finta eccezionalità e precarietà costituzionale che aveva avuto fino ad allora, trasformandolo in una vera e propria magistratura suprema costituzionalmente accettata; in questa legge, infatti, si stabilivano tutte le funzioni e facoltà spettanti all'Imperatore, nel rispetto di quelle – pur esigue – destinate al Senato. D'altra parte Vespasiano non discendeva né per sangue né per adozione dagli eredi di Giulio Cesare e Augusto, e doveva dunque sgombrare il campo da qualunque incertezza: avrebbe governato non in nome di una generica auctoritas, ma di precisi poteri civili e militari, ai quali aveva diritto in quanto vincitore della cruenta guerra civile dell'anno 69 d.C.

Sotto il regno di Vespasiano (69-79 d.C.) Roma conseguì numerosi successi militari: anzitutto quello, clamoroso, nella guerra giudaica – condotta dall'Imperatore insieme al figlio Tito – che portò nel 70 d.C. alla presa di Gerusalemme; inoltre, altri riportati in varie campagne in Oriente (che permisero l'annessione di nuovi regni), in Britannia, nelle regioni danubiane. Durante il regno di Tito (79-81 d.C.), principe ricordato con l'epiteto di "amore e delizia del genere umano" a causa dei suoi atteggiamenti clementi e conciliatori, un'eruzione del Vesuvio (79 d.C.) distrusse le città di Ercolano e Pompei. Il regno di Domiziano (81-96 d.C.) si contraddistinse inizialmente per alcune spedizioni germaniche che consentirono di rafforzare il limes (confine) germanico-retico; in politica interna, però, il governo dell'Imperatore si trasformò progressivamente in un'odiata tirannide, teso com'era a sottrarre ancor più prestigio al Senato: per assumere un maggiore controllo su questa istituzione Domiziano si fece addirittura nominare censore a vita.

VESPASIANO

TITO

DOMIZIANO

 

GLI IMPERATORI DELLA DINASTIA ANTONINIA (96-192 D.C.)

All'anziano Marco Cocceio Nerva (che regnò con equilibrio e moderazione dal 96 al 98 d.C.), imposto dal Senato dopo che Domiziano venne ucciso in una congiura, succedettero nel corso del II secolo d.C. Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Lucio Vero. Ciascun Imperatore fu scelto e adottato legalmente dal suo predecessore per le proprie capacità e onestà (secondo il criterio della "scelta del migliore"), ignorando i vincoli di sangue; e, anche se in realtà solo gli ultimi tre ebbero la determinazione onomastica di "Antonino", tutti quanti vengono – un po' impropriamente – accomunati nella definizione di "Antonini".

NERVA

TRAIANO

Traiano (98-117 d.C.), nativo della Spagna meridionale, fu il primo provinciale ad ascendere al principato; egli condusse campagne contro i daci, gli armeni e i parti, e il suo regno fu ricordato per l'eccellente amministrazione, l'accorta politica sociale e per i rapporti distesi tra princeps e Senato: Traiano si meritò infatti l'appellativo pubblico di optimus, fino ad allora proprio solo di Giove Capitolino. Sotto il suo regno l'Impero raggiunse la massima estensione territoriale della sua storia; lo scrittore di satire Giovenale, il letterato Plinio il Giovane, grande amico personale dell'Imperatore, e lo storico Cornelio Tacito vissero in età traianea.

ADRIANO

I ventuno anni di regno del successore Adriano (117-138 d.C.) furono un periodo di pace e prosperità. Adriano infatti consolidò e rese più sicuri i confini dell'Impero, anche con numerosi soggiorni fuori Roma, e addirittura risiedendo per più anni ad Atene. Egli non solo viaggiò in tutti i domini romani per coordinare personalmente operazioni militari o amministrative, ma anche per mostrare a tutti la sua presenza fisica, diminuendo così la distanza tra il principe e i provinciali: non ancora, questi ultimi, cittadini romani a tutti gli effetti, ma neppure più semplici sudditi da sfruttare. Anche il regno del suo successore, Antonino Pio (138-161 d.C.), fu ordinato e pacifico; nel 147 d.C. – sotto gli auspici di questo Imperatore – vennero celebrati con grande fasto e solennità i novecento anni dalla fondazione di Roma.

ANTONINO PIO

MARCO AURELIO

Il principato del filosofo stoico Marco Aurelio (161-180 d.C.), che governò insieme al fratello adottivo Lucio Aurelio Vero fino alla morte di quest'ultimo (169 d.C.), fu turbato dalle incursioni di popolazioni germaniche (quadi e marcomanni), che migravano premendo sui confini dell'Impero, nonché da una grave pestilenza portata in Italia dai militari di ritorno dall'Oriente a partire dal 166 d.C. A Marco Aurelio succedette – con palese rottura del criterio dell'adozione come "scelta del migliore" – il figlio Marco Aurelio Commodo (180-192 d.C.), forse uno dei tiranni più sanguinari e dissoluti della storia romana; questi assunse infatti atteggiamenti veementemente antisenatori e sempre più apertamente teocratici (si omologò a Giove e assunse addirittura il titolo di "Ercole Romano") finché non venne assassinato nel 192 d.C.

COMMODO

Il II secolo d.C. mostrò, soprattutto nell'ultima fase, evidenti indizi di una crisi dei valori tradizionali del popolo romano. Infatti il mos maiorum, l'insieme di modelli comportamentali per il cittadino di età repubblicana che si basava sull'importanza della partecipazione – a vari livelli (politico, militare, religioso, culturale) – alla vita pubblica, era ormai un punto di riferimento inadeguato per una generazione che della res publica aveva perso ogni ricordo ed era ormai assuefatta a un potere di tipo monarchico, o addirittura tirannico o teocratico.

Quando avvennero le prime pericolose incursioni dei quadi e dei marcomanni, vacillò anche l'unico grande valore che era stato patrimonio dei romani d'epoca imperiale, e che li aveva persuasi di essere comunque i protagonisti della storia dell'umanità: l'espansione e la difesa dei domini imperiali come garanzia dell'eternità di Roma e del suo popolo. Gli dei capitolini tradizionali erano inoltre inadeguati a soddisfare la religiosità di genti culturalmente ed etnicamente così diverse, accomunate solo dall'essere soggette a Roma. Fu così che nei territori dell'Impero, a partire soprattutto dalle truppe di stanza in Oriente, si affermarono sempre più i culti misterici e le religioni orientali legate a Mitra, a Iside e alla Grande Madre, e, benché ripetutamente perseguitato, il cristianesimo faceva sempre più proseliti nel mondo romano. Nel secolo successivo, a questa crisi di valori si aggiunsero gravi fattori di instabilità politica e sociale che accelerarono il declino dell'Impero.

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