La scoperta del sesso

 

Dopo quel primo giorno incominciò per Agostino un tempo oscuro e pieno di tormenti. In quel giorno gli erano stati aperti per forza gli occhi; ma quello che aveva appreso era troppo più di quanto potesse sopportare.

Più che la novità, l'opprimeva e l'avvelenava la qualità delle cose che era venuto a sapere, la loro massiccia e indigesta importanza. Gli era sembrato, per esempio, che dopo le rivelazioni di quel giorno i suoi rapporti con sua madre avrebbero dovuto chiarirsi; e che il malessere, il fastidio, la ripugnanza che, soprattutto negli ultimi tempi, destavano in lui le carezze materne, dopo le rivelazioni del Saro, dovessero trovarsi come d'incanto risolti e pacificati in una nuova e serena consapevolezza. Ma non era così; fastidio, malessere e ripugnanza sussistevano; soltanto, mentre prima erano stati quelli dell'affetto filiale attraversato e intorbidato dall'oscura coscienza della femminilità materna, adesso dopo la mattinata passata sotto la tenda del Saro, nascevano da un sentimento di acre e impura curiosità che il persistente rispetto familiare gli rendeva intollerabile. Se prima egli aveva cercato oscuramente di sciogliere quell'affetto da una ripugnanza ingiustificata, ora gli pareva quasi un dovere di separare quella sua nuova e razionale conoscenza dal senso promiscuo e sanguinoso dell'esser lui figlio di quella persona che non voleva considerare che come una donna. Gli pareva che il giorno in cui non avesse visto in sua madre che la bella persona che ci scorgevano il Saro e i ragazzi, ogni infelicità sarebbe scomparsa; e si accaniva a ricercare le occasioni che lo confermassero in questa convinzione. Ma con il solo risultato di sostituire la crudeltà all'antica riverenza e la sensualità all'affetto.

La madre, come in passato, non si nascondeva in casa dai suoi occhi di cui non avvertiva lo sguardo cambiato; e maternamente impudica, pareva ad Agostino che quasi lo provocasse e lo ricercasse. Gli accadeva talvolta di sentirsi chiamare e di trovarla alla teletta, discinta, il petto seminudo; oppure di svegliarsi e di vederla chinarsi su di lui per il bacio mattutino, lasciando che la vestaglia si aprisse e il corpo si disegnasse entro la trasparenza della leggera camicia ancora spiegazzata della notte. Ella andava e veniva davanti a lui come se non ci fosse stato, si metteva le calze, se le toglieva; si infilava gli abiti; si profumava, si imbellettava; e tutti questi atti che un tempo erano sembrati ad Agostino affatto naturali, ora apparendogli significativi e quasi parti visibili di una realtà ben più ampia e pericolosa, gli dividevano l'animo tra la curiosità e la sofferenza. Si ripeteva: «non è che una donna» con un'indifferenza obiettiva di conoscitore; ma un momento dopo, non sopportando più l'inconsapevolezza materna e la propria attenzione, avrebbe voluto gridarle: copriti, lasciami, non farti più vedere, non sono più quello di un tempo. Del resto la sua speranza di considerare sua madre una donna e niente di più, naufragò quasi subito. Ben presto si accorse che pur essendo diventata donna, ella restava ai suoi occhi, più che mai madre; e comprese che quel senso di crudele vergogna che per un momento aveva attribuito alla novità dei suoi sentimenti, non l'avrebbe più lasciato. Sempre, capì ad un tratto, ella sarebbe rimasta la persona che aveva amato di affetto sgombro e puro; sempre ella avrebbe mescolato ai suoi gesti più femminili quelli affettuosi che per tanto tempo erano stati i soli che egli conoscesse; sempre, infine, egli non avrebbe potuto separare il nuovo concetto che aveva di lei dal ricordo ferito dell'antica dignità.

Egli non metteva in dubbio che tra la madre e il giovane del patino corressero i rapporti di cui avevano parlato i ragazzi sotto la tenda del Saro. E stupiva oscuramente del cambiamento intervenuto in lui. Un tempo non c'erano stati nel suo animo che gelosia di sua madre e antipatia per il giovane; ambedue poco chiare e come assopite. Ma ora, nello sforzo di restare obbiettivo e sereno, avrebbe voluto provare un sentimento di comprensione per il giovane e di indifferenza per sua madre. Soltanto quella comprensione non riusciva ad essere che complicità e quell'indifferenza indiscrezione. Poche volte ormai gli accadeva di accompagnarli in mare perché procurava sempre di sfuggire a quegli inviti; ma tutte quelle volte Agostino si accorgeva di studiare i gesti e le parole del giovane quasi con desiderio di vederlo oltrepassare i limiti della solita urbana galanteria; e quelli della madre quasi con la speranza di ricevere una conferma ai suoi sospetti. Questi sentimenti gli riuscivano insoffribili perché erano proprio il contrario giusto di quello che avrebbe desiderato. E quasi rimpiangeva la compassione che un tempo avevano destato nel suo animo le goffaggini materne, tanto più umana e affettuosa dell'attuale spietata attenzione.

Gli restava da quei giorni passati a combattersi, un senso torbido di impurità; gli pareva di aver barattato l'antica innocenza non con la condizione virile e serena che aveva sperato bensì con uno stato confuso e ibrido in cui senza contropartite di alcun genere, alle antiche ripugnanze se ne aggiungevano delle nuove. Che serviva vederci chiaro se questa chiarezza non portava che nuove e più fitte tenebre? Talvolta si domandava come facessero i ragazzi più grandi di lui ad amare la propria madre e al tempo stesso a sapere quello che egli stesso sapeva; e concludeva che questa consapevolezza doveva in loro uccidere a tempo l'affetto filiale, mentre in lui l'una non riusciva a scacciare l'altra e, coesistendo, torbidamente si mescolavano. [ ...]

Tuttavia, nonostante questo fallimento, egli era veramente cambiato; senza che se ne accorgesse e più per effetto del diuturno sodalizio con i ragazzi che per volontà sua, era divenuto assai simile a loro o, meglio, aveva perso gli antichi gusti senza per questo riuscire del tutto ad acquistarne dei nuovi. Più di una volta, spinto dall'insofferenza, gli accadde di non recarsi allo stabilimento Vespucci e di ricercare i semplici compagni e i giuochi innocenti coi quali, al bagno Speranza, aveva iniziato l'estate. Ma come gli apparvero scoloriti i ragazzi bene educati che qui lo aspettavano, come noiosi i loro svaghi regolati dagli ammonimenti dei genitori e dalla sorveglianza delle governanti, come insipidi i loro discorsi sulla scuola, le collezioni dei francobolli, i libri di avventure e altre simili cose. In realtà la compagnia della banda, quel parlare sboccato, quel discorrere di donne, quell'andare rubando per i campi, quelle stesse angherie e violenze di cui era vittima, lo avevano trasformato e reso insofferente delle antiche amicizie. Gli accadde in quel torno di tempo un fatto che lo riconfermò in questa convinzione. Una mattina, giunto un po' in ritardo allo stabilimento Vespucci, non aveva trovato né il Saro allontanatosi per certe sue faccende, né la banda dei ragazzi. Malinconicamente andò a sedersi sopra un patino, in riva la mare. Ed ecco, mentre guardava alla spiaggia con desiderio di vederci almeno apparire il Saro, avvicinarsi un uomo e un ragazzo di forse due anni più giovane di lui. L'uomo, piccolo, le gambe corte e grasse sotto la pancia sporgente, il viso rotondo in cui un paio di lenti a molla stringevano un naso appuntito, pareva un impiegato o un professore. Il bambino magro e pallido, in un costume troppo ampio; stringeva contro il petto un enorme pallone di cuoio, tutto nuovo. Tenendo per mano il figlio, l'uomo si avvicinò ad Agostino e lo guardò a lungo indeciso. Finalmente gli chiese se fosse possibile fare una passeggiata in mare. «Certo che è possibile» rispose Agostino senza esitare.

L 'uomo lo considerò con diffidenza, al disopra degli occhiali e poi domandò quanto costasse un'ora di patino. Agostino, che conosceva i prezzi glielo disse. Ora capiva che l'uomo lo scambiava per un garzone o figlio di bagnino; e ciò, in qualche modo, lo lusingava. «Allora andiamo» disse l'uomo.

Senza farselo dir due volte, Agostino prese il tronco di abete grezzo che serviva da rullo e andò a sottoporlo alla prua dell'imbarcazione. Quindi afferrate con le due mani le punte del patino, con uno sforzo raddoppiato dall'amor proprio così curiosamente impegnato, spinse il patino in mare. Aiutò a salire il ragazzo e il padre, balzò a sua volta e si impossessò dei remi.

Per un pezzo, su quel mare calmo e deserto della prima mattina, Agostino remò senza dir parola. Il ragazzo stringeva al petto il pallone e guardava Agostino con i suoi occhi scialbi. L'uomo, seduto goffamente, la pancia tra le gambe, girava intorno il capo sul collo grasso e pareva godersi la passeggiata. Domandò alla fine ad Agostino chi egli fosse, se garzone o figlio di bagnino. Agostino rispose che era garzone. «E quanti anni hai?» interrogò l'uomo.

«Tredici» rispose Agostino.

«Vedi» disse l'uomo rivolto al figlio, «questo ragazzo ha quasi la tua età e già lavora». Quindi, ad Agostino: «e a scuola ci vai?».

«Vorrei... ma come si fa?» rispose Agostino assumendo il tono ipocrita che aveva spesso visto adottare dai ragazzi della banda di fronte a simili domande; «bisogna campare, signore».

«Vedi» tornò a dire il padre al figlio, «vedi, questo ragazzo non può andare a scuola perché deve lavorare... e tu hai il coraggio di lamentarti perché devi studiare».

«Siamo molti in famiglia» continuò Agostino remando di lena «e tutti lavoriamo».

«E quanto puoi guadagnare in una giornata di lavoro?» domandò l'uomo.

«Dipende» rispose Agostino; «se viene molta gente, anche venti o trenta lire».

«Che naturalmente porti a tuo padre» lo interruppe l'uomo.

«Si capisce» rispose Agostino senza esitare «salvo s'intende quello che ricevo come mancia».

L'uomo questa volta non se la sentì di additarlo come esempio figliolo, ma fece un grave cenno di approvazione con il capo. Il figlio taceva, stringendo più che mai al petto il pallone e guardando Agostino con gli occhi smorti e annacquati. «Ti piacerebbe, ragazzo», domandò ad un tratto l'uomo ad Agostino «di possedere un pallone di cuoio come questo?».

Ora Agostino ne possedeva due di palloni, e giacevano da tempo nella sua camera, abbandonati insieme ad altri giocattoli. Tuttavia disse: «Sì, certo, mi piacerebbe... ma come si fa? dobbiamo prima di tutto provvedere al necessario».

L'uomo si voltò verso il figlio, e, più per gioco, come pareva, che perché ne avesse realmente l'intenzione, gli disse: «Su, Piero... regala il tuo pallone a questo ragazzo che non ce l'ha». Il figlio guardò il padre, guardò Agostino e con una specie di gelosa veemenza strinse al petto il pallone; ma senza dir parola. «Non vuoi?» domandò il padre con dolcezza, «non vuoi?

«Il pallone è mio» disse il ragazzo.

«È tuo sì… ma puoi, se lo desideri, anche regalarlo» insistette il padre; «questo povero ragazzo non ne ha mai avuto uno in vita sua... di'… non vuoi regalarglielo?».

«No» rispose con decisione il figlio.

«Lasci stare» intervenne a questo punto Agostino con un sorriso untuoso, «io non me ne farei nulla... non avrei il tempo di giocarci... lui invece...».

Il padre sorrise a queste parole, soddisfatto di aver presentato in forma vivente un apologo morale al figliolo. «Vedi, questo ragazzo è migliore di te» soggiunse accarezzando la testa al figliolo, «è povero e tuttavia non vuole il tuo pallone... te lo lascia... ma tutte le volte che fai i capricci e ti lamenti... devi ricordarti che ci sono al mondo tanti ragazzi come questo che lavorano e non hanno mai avuto palloni né alcun altro balocco».

«Il pallone è mio» rispose il figlio testardo.

«Sì è tuo» sospirò il padre distrattamente. Guardò l'orologio e disse: «ragazzo, torniamo a riva» con una voce mutata e del tutto padronale. Senza dir parola, Agostino voltò la prua verso la spiaggia.

Come giunsero in prossimità della riva, egli vide il Saro ritto nell'acqua che osservava con attenzione le sue manovre; e temette che il bagnino lo svergognasse svelando la sua finzione. Ma il Saro non aprì bocca, forse aveva capito; forse non gli importava; e zitto e serio aiutò Agostino a tirare a secco l'imbarcazione. «Questo è per te» disse l'uomo dando ad Agostino i soldi pattuiti e qualcosa di più. Agostino prese i soldi e li portò al Saro. «Ma questi me li tengo per me... sono la mancia» soggiunse con compiaciuta e consapevole impudenza. Il Saro non disse

nulla, sorrise appena e messi i soldi nella fascia nera che gli cingeva la pancia si allontanò lentamente verso la baracca, attraverso la spiaggia.

Questo piccolo incidente diede ad Agostino il sentimento definitivo di non appartenere più al mondo in cui si trovavano ragazzi del genere di quello del pallone; e comunque di essersi così incanaglito ormai da non poterci più vivere senza ipocrisia e fastidio. Troppa delicatezza restava in lui; se fosse stato simile, pensava talvolta, non avrebbe sofferto tanto delle, loro rudezze, delle loro sguaiataggini e della loro ottusità. Così si trovava ad avere perduto la primitiva condizione senza per questo essere riuscito ad acquistarne un'altra.

 

Alberto Moravia, Agostino, Bompiani, Milano 1991