Piccolo testamento

 

       Questo che a notte balugina

       nella calotta del mio pensiero,

       traccia madreperlacea di lumaca

       o smeriglio di vetro calpestato,

 5    non è lume di chiesa o d’officina

       che alimenti

       chierico rosso o nero.

       Solo quest’iride posso

       lasciarti a testimonianza

10   d’una fede che fu combattuta,

       d’una speranza che bruciò più lenta

       di un duro ceppo nel focolare.

       Conservane la cipria nello specchietto

       quando spenta ogni lampada

15   la sardana si farà infernale

       e un ombroso Lucifero scenderà su una prora

       del Tamigi, del Hudson, della Senna

       scuotendo l’ali di bitume semi-

       mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.

20   Non è un’eredità, un portafortuna

       che può reggere all’urto dei monsoni

       sul fil di ragno della memoria,

       ma una storia non dura che nella cenere

       e persistenza è solo l’estinzione.

25   Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato

       non può fallire nel ritrovarti.

       Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio

       non era fuga, l’umiltà non era

       vile, il tenue bagliore strofinato

30   laggiù non era quello di un fiammifero.

 

Commento

 

È la prima delle Conclusioni provvisorie (la seconda si intitola Il sogno del prigioniero) con cui termina La bufera. All'aggettivo «provvisorie» viene qui accostato «piccolo», a indicare il carattere tutto aperto e precario della ricerca montaliana, che non ha certezze da proclamare, limitandosi a lasciare un messaggio "debole", povero e imperfetto. Riprendendo alcuni dei motivi più cari alla sua ispirazione, Montale non prospetta soluzioni, ma pone ancora una volta l'accento sulle contraddizioni profonde dell'esistenza, lasciando appena persistere le tracce di un' esigua speranza.

La fioca luce che riverbera fra il «pensiero» e la notte, variamente definita ai vv. 3-4, non è tale da alimentare attese politiche, che inducano il poeta ad abbracciare convinzioni di tipo storico e sociale. Montale ribadisce qui la sua distanza profonda dalle ideologie postbelliche, nelle loro forme di destra o di sinistra (v. 5: «non è lume di chiesa o d'officina»), e dal ruolo giocato in esse dagli intellettuali. Particolarmente netto risulta il rifiuto della tendenza dominante della cultura contemporanea, quella del cosiddetto Neorealismo, che subordinava il ruolo della letteratura a un concreto impegno di partecipazione e di ricostruzione. Il «lume», per lui, è ridotto a «quest'iride» (v. 8) e rappresenta il solo dono che il poeta sia in grado di offrire, non come un messaggio di salvezza, ma come semplice «testimonianza». E un piccolo ma significativo gesto di carità, che corrisponde alle altre "virtù teologali" indicate subito dopo: una «fede» non trionfalistica, ma «combattuta»; una «speranza» debole ma tenace, «più lenta», a consumarsi, «di un duro ceppo nel focolare» (vv. 11-12).

Ma questa testimonianza-testamento è comunque degna di essere conservata. Nel rivolgersi a una creatura femminile (che, come al solito, è mediatrice fra la realtà terrena e l'eterno), Montale riprende il motivo dell'amuleto, cui affida le residue possibilità di difendersi dall'infuriare delle calamità storiche e individuali. La «sardana infernale» e l'«ombroso Lucifero» (vv. 15-16) sono immagini di sconvolgimento e di distruzione che, divenendo incombenti sulla terra (il riferimento ai fiumi ricorda il Thomas Eliot di La terra desolata), abbandonano l'uomo sul ciglio dell'abisso (una specie di correlativo può essere indicato nella tmesi «semi-mozze») e portano la solita certezza irrevocabile, quella della morte «è l'ora», che conclude il v. 19).

Contro questo turbine (l'«urto dei monsoni») anche il «portafortuna» non ha alcun valore; non resta che la «memoria», a giustificare il paradosso inesplicabile dell'esistenza (quello in cui «una storia non dura che nella cenere / e persistenza è solo l’estinzione», ai vv. 23-24). È questa la sola traccia («lume» o «segno»)  che dura, quella che si può lasciare in un «piccolo testamento» affidato ai pochi e affini che sono in grado di riconoscerla. Di qui le distinzioni introdotte nei versi finali («l’orgoglio» che non è «fuga», «l’umiltà» che non è «vile»), nei quali il poeta ribadisce il valore delle sue scelte personali (il cui «tenue bagliore» non è tuttavia labile come «quello di un fiammifero»). Mentre riprendono e riassumono le ragioni profonde della precedente ispirazione, questi versi segnano anche una svolta, che prelude alle successive raccolte poetiche: la poesia La storia ne costituisce un esempio significativo.

 

Riflessioni ermeneutiche

Con “Il sogno del prigioniero” questa celebre lirica (dei primi anni Cinquanta) costituisce la sezione Conclusioni provvisorie che chiude la raccolta della Bufera ed altro.

È un testamento nel senso che il poeta, che “ormai ha lasciato alle spalle la possibilità della decisione religiosa simboleggiata dalla figura di Clizia” ed “è passato attraverso la stagione dell’innamoramento per la Volpe, che in certo senso ha riportato a terra l’esaltazione della donna-angelo”, ma soprattutto ha lasciato alle spalle l’epoca delle grandi distinzioni del bene e del male, potendosi facilmente dividere i due campi quando imperversano i “messi infernali” (Gioanola), torna su temi che hanno caratterizzato tutta la sua precedente riflessione per verificarne la tenuta. Come già in Arsenio, è forse proprio nel momento del massimo disordine storico e cosmico (la guerra e le sue distruzioni non solo materiali), nel momento in cui il NON-SENSO della realtà si mostra in tutta la sua iperbolica interezza, che può soggettivamente aprirsi l’imprevedibile varco per il poeta, l’incontro con il fantasma che può salvarlo?

“La bufera e altro” è il momento di massima apertura di Montale verso l’ipotesi di un varco che metta nel mezzo di una verità, che dia senso al non-senso. L’arco di tempo che va dalla guerra mondiale alla guerra fredda è anche il momento in cui Montale dà, più esplicitamente, all’immagine del varco e al problema della liberazione dall’angoscia dell’esistere un significato religioso, per quanto dichiaratamente a-confessionale ed eterodosso: “La bufera e altro”, dove per la prima volta viene pronunciata la parola “Dio”, ha scritto l’Antonielli, “o si legge in chiave di reale tensione religiosa o non si legge. Montale ha dato voce al dramma dell’uomo religioso senza religione, del cristiano storico senza chiesa.

Cristiano errante, nestoriano smarrito che lo si voglia chiamare, è indubbiamente fra coloro che meglio hanno tentato di approfondire la turbata coscienza del nostro tempo”.

Il fatto è - ed è  il fatto significativo della raccolta – che nella Bufera compie la sua irruzione la realtà concreta, spesso la realtà nelle sue manifestazioni pubbliche e storiche: “guerra, tirannia, emergenza, guerra fredda… catastrofi dunque pubbliche”.

Ciò significa: “l’irruzione, sconvolgente e massiccia, di una realtà esterna entro un mondo”, quello della poesia montaliana, che si era fondato sulla “sfiducia nel reale”.

In questo PICCOLO TESTAMENTO, riflessione conclusiva prima di un lungo silenzio, eventi pubblici e vita privata, destino storico del mondo e ricerca etica ed esistenziale del poeta si confrontano: da un lato la NOTTE che prosegue anche dopo la fine della guerra (un dopoguerra di guerra fredda, di clericalismo e stalinismo; di “purghe” si parlerà nel “Sogno di un prigioniero”), la profezia di una sardana che “si farà infernale” e coinvolgerà distruggendolo il mondo occidentale e le sue tradizioni (una guerra atomica?), i chiesastici lumi accesi dai chierici rossi e neri; dall’altro la traccia madreperlacea di una lumaca, lo smeriglio di vetro calpestato, un’iride che si riduce alla cipria – fragile ed effimero portafortuna, amuleto – e cioè minimi segnali luminosi, non paragonabili né ai lumi di chiesa e d’officina (che però si spegneranno) né alla luce infernale (che tutto travolgerà).

Ma segni anche di una ricerca tenace e consapevole, di una fede…combattuta, di un’orgogliosa coerenza (“l’orgoglio/non era fuga, l’umiltà non era/vile) che dureranno, fin tanto che potrà durare ogni cosa transitoria: non potranno reggere all’urto dei monsoni, ma il loro bagliore non è neppure tanto effimero quanto “quello di un fiammifero”.