Altri poeti

Anton Giulio Brignole Sale - La cortigiana frustata

All'immagine idealizzata e incorporea della donna ricorrente nella lirica petrarchista i poeti barocchi contrappongono figure femminili corpose, spesso caratterizzate da partico­larità fisiche o da attributi bizzarri (la nana, la balbuziente, la sdentata, l'occhialuta...). Non mancano le tinte sensuali, a volte venate di sadismo, come in questo sonetto, dedi­cato a una prostituta punita a colpi di frusta.

Auton Giulio Brignole Sale (1605-1665), nato a Genova da una fami­glia nobile, partecipò attivamente alla vita politica come amba­sciatore in Spagna e senatore. Dopo la morte della moglie (1648) si fece gesuita. Oltre alle sue poesie, modellate dapprima sull'esempio di Mari­no poi su quello di Chiabrera, scrisse una raccolta di no­velle, un romanzo edificante, opere di contenuto religioso, storico, di satira di costume.  

 

 

 

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La man che ne le dita ha le quadrella

con duro laccio al molle tergo è avvolta.

L'onta a celar ch'è ne le guance accolta,

spande il confuso crin ricca procella.

 

Sul dorso, ove la sferza empia flagella,

grandine di rubini appar disciolta;

già dal livor la candidezza è tolta,

ma men candida ancor non è men bella.

 

Su quel tergo il mio cor spiega le piume

e per pietà di lui già tutto esangue,

ricever le ferite in sé presume.

 

In quelle piaghe agonizzando ci langue;

ma nel languir non è il primier costume

che il sangue corra al cor: ei corre al sangue.

 

 

 

 

 

 

 

1. che… quadrella: che tiene fra le dita le frecce (quadrella) d'amore. 2. al molle tergo: alla schiena delicata. Il poeta immagina che la cortigiana protago­nista della poesia sia legata. 3-4. L’onta... pro­cella: la chioma scomposta (confuso crin) sparge una ricca tempesta (procella) di capelli per nasconde­re le guance rosse di vergogna (letteral­mente: la vergogna che si è raccolta nelle guance). 5. la sferza empia: la malvagia frusta. 6. grandine... disciol­ta: sembra che si sia sciolta una grandine colore del rubino. Sono le gocce di san­gue provocate dalle frustate. 7. dal livor: dai lividi. candidezza: il cando­re della pelle. 9. spiega le piume: allarga le ali, vola. 10. di lui: del tergo, cioè della schiena della donna. 11. ricever... pre­sume: gli sembra di essere ferito dalle frustate che colpisco­no la donna. 12. langue: soffre. 13. ma... costume: ma nella sofferenza le cose non vanno al so­lito modo (primier costume). 14. che... sangue: normalmente il san­gue scorre verso il cuore; ora invece il cuore del poeta si lancia verso il sangue della donna frustata.

La presenza di figure femminili estranee al modello petrarchesco corrisponde alla ri­cerca di novità e di originalità della lirica barocca, particolarmente attratta da quegli aspetti della realtà che la precettistica cinquecentesca aveva ritenuto estranei al de­coro estetico e morale della letteratura. In questo caso Anton Giulio Brignole Sale non si limita ad elogiare la bellezza di una prostituta, ma la avvolge di un repertorio di suggestioni sado-masochiste (la donna legata, i capelli scomposti, le ferite e i lividi che ne accentuano la sensualità, il gusto della sofferenza e l'attrazione per il sangue) che non avevano avuto diritto di cittadinanza nella poesia fino a quel momento.

Antonio Basso - All'incenerite ossa d'umano cadavere

Descrive la natural varietà della nostra corruttibil materia inquieta anche nelle ceneri dell'uomo estinto»: così lo stesso autore illustra il tema del suo sonetto, tipico esempio di un filone della poesia barocca che oggi definiremmo di genere horror.

Nato a Napoli, medico, Anto­nio Basso pubblicò una raccolta di Poe­sie nel 1645. Nel 1647 fu immischiato nella rivolta di Masa­niello e fu messo a morte l'anno succes­sivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sostenner, tempo è già, membra e figura

queste d'umano frale ossa insensate,

che vòlte in polve fur pria formate,

mostran di noi vil fasto esser natura.

 

Pasto a lui diede il mondo, indi pastura

di fère ci fu da se medesmo, ahi, nate!

in tenebre riposa or lunga etate

chi poca ebbe qua giù di luce usura.

 

Ma qual riposo è 'l suo se, reso informe,

fatto d'aspri contrari atro suggetto,

varia in lui la materia ognor più forme?

 

O di mortal cagion continuo effetto!

Viviam, lassi, poche ore; e di noi l'orme

serbare al cener nostro anco è disdetto.

1. tempo è già: un tempo. figura: volto. 2. frale: il corpo, in quanto oggetto cor­ruttibile (frale = "fra­gile"). 3. vòlte... formate: trasformate in quella polvere da cui furono plasmate in origine (pría). Nel racconto biblico della creazio­ne Dio crea Adamo dalla terra. 4. mostran... natura: dimostrano come la nostra (di noi) natura sia vuota esteriorità (vil fasto). 7-6. pastura... nate: fornì il pasto a bestie (fere) da lui stesso ge­nerate, cioè ai vermi. Fa riferimento alla credenza che i vermi nascessero, per gene­razione spontanea, dai cadaveri. 7. lunga etate: per lungo tempo. 8. chi... usura: chi sulla terra (qua giù) ebbe poca possibilità di godere della luce. 10. fatto... suggetto: divenuto orrendo (atro) oggetto di con­flitto per forze con­trastanti (aspri con­trari). 11. varia... forme: in lui (nel cadavere) la materia assume con­tinuamente forme di­verse. 12. di mortal... effet­to: effetto eterno di una causa effimera, mortale. La vita del­l'uomo è breve, ma le trasformazioni della materia di cui è composto durano per sempre. 13. lassi: infelici. 13-14. di noi.. di­sdetto: ci è impedito (disdetto) conservar, al nostro cadavere (cener) persino l'im­pronta (orme) delle nostre forme.

 

 

Un tema ricorrente nell'arte del Seicento è quello del tempo che passa e dell'incom­bere della morte, rappresentato da clessidre, teschi, emblemi mortuari, oggetti im­polverati e corrosi. È un sintomo di quel senso di smarrimento che percorre il secolo di fronte alla crisi di verità e certezze consolidate conseguente alla rivoluzione scien­tifica e filosofica. In questo caso la riflessione sul destino umano è affrontata in una prospettiva che si potrebbe dire "materialistica": manca ogni riferimento alla fede nell'aldilà o nell'esi­stenza di un'anima immortale e l'attenzione è tutta concentrata sul corpo nella sua materialità, sulle orribili metamorfosi che lo aspettano dopo la morte.

Gianfrancesco Maria Materdona - A una zanzara

La poesia del Seicento ama concentrare il suo sguardo su singoli dettagli del mondo na­turale. Tra gli animali vengono privilegiati í più estranei alla tradizione poetica: pesci, pappagalli, pidocchi, grilli, mosche, pulci. O zanzare, come in questo caso.

Gianfrance­sco Maria Materdona, nato in provincia di Lecce, fu sacerdote. Non si hanno notizie precise della sua vita. Oltre alle poesie, rac­colte nelle Rime (1629), scrisse opere edificanti, come Le lettere di buone fèste (1624) e L'utile spa­vento del peccatore (1629).

 

 

 

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Animato rumor, tromba vagante,

che solo per ferir talor ti posi,

turbamento de l'ombre e de' riposi,

fremito alato e mormorio volante;

 

per ciel notturno animaletto errante,

pon freno ai tuoi susurri aspri e noiosi;

invan ti sforzi tu ch'io non riposi:

basta a non riposar l'esser amante.

 

Vattene a chi non ama, a chi mi sprezza

vattene; e incontro a lei quanto più sai

desta il suono, arma gli aghi, usa fierezza.

 

D'aver punta vantar sì ti potrai

colei, ch'Amor con sua dorata frezza

pungere ed impiagar non poté mai.

1. Animato rumor: rumore vivo, in mo­vimento. 3. de l'ombre: delle notti. 8. amante: innamo­rato. 9. sprezza: disprezza. 10. incontro a: con­tro di. 11. arma: prepara. fierezza: crudeltà. 13. frezza: freccia. 14. impiagar: ferire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa poesia più delle altre di questa sezione si propone come una “arguzia”, in cui le immagini inattese e gli accostamenti sorprendenti assumono un tono apertamente scherzoso. Dal punto di vista tematico, l'intonazione arguta del sonetto è data dal parallelismo tra le pene d'amore e le pene determinate dal morso della zanzara: il poeta soffre già abbastanza per conto suo, senza bisogno delle punture del fastidioso insetto, e per questo lo invita a sfogarsi sulla donna, che non è afflitta da nessuna pena d'amore. Grazie a questo impoetico accostamento il motivo canonico della ferita amorosa, che i petrarchisti avevano ripreso in infinite variazioni per cantare le sofferenze del­l'innamorato non ricambiato, viene ripreso in chiave ironica e giocosa. Dal punto di vista stilistico l'aspetto più interessante del sonetto è il suo carattere quasi acrobatico di sfida virtuosistica: pur parlando dal primo verso all'ultimo della zanzara, Materdona si è prefisso di non chiamarla mai per nome, costringendosi a ri­correre a un accumulo di perifrasi, metafore, iperboli che consentono all'artista di esibire la sua abilità, e al lettore di sperimentare quella "meraviglia" che è lo scopo fondamentale del poeta barocco.

Girolamo Preti - Per la sua donna specchiantesi

Tra gli oggetti costruiti dall'uomo uno dei più presenti nella poesia del Seicento è lo spec­chio, simbolo della mutevolezza e dell'illusorietà del reale.

Girolamo Preti, nato a Bologna nel 1582 e morto a Barcellona nel 1626, fu cortigiano di me­stiere: paggio alla corte di Alfonso II di Ferrara, maestro di camera del cardinale Pio di Savoia, istitu­tore del principe di Venosa, gentiluomo del cardinale France­sco Barberini. Le sue Poesie, pubblicate a Venezia nel 1614, furono più volte ri­stampate, riscuoten­do grande successo pressi i contemporanei.

 

 

 

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Mentre in cristallo rilucente e schietto

il bel volto costei vagheggia e mira,

armando il cor d'orgoglio, il ciglio d'ira,

del suo bel, del mio mal prende diletto.

 

Vaga del vago e lusinghiero aspetto

dice: - Ben con ragion colui sospira! –

Sembrano a lei, che sue bellezze ammira,

oro il crin, rose il labro, e gigli il petto.

 

Ah, quel cristallo è mentitor fallace,

che scopre un raggio sol del bello eterno,

anzi un'ombra d'error vana e fugace!

 

Vedrai, se miri il tuo sembiante interno,

cui ritragge il mio cor, specchio verace,

angue il crin, tosco il labro, il petto inferno.

1. cristallo: il vetro dello specchio. schietto: limpido. 2. vagheggia: con­templa. 4. del suo... diletto: sidiletta della sua bel­lezza (bel) che per me è sofferenza (mio mal). 5. Vaga: innamorata. vago: bello. 8. il crin: la chioma. 9. fallace: ingannato­re. 10. un raggio... eter­no: solo un minusco­lo frammento della vera bellezza, che è eterna. 11. un'ombra d'er­ror: un'apparenza in­gannevole. 12. il… interno: i tuoi lineamenti interiori, più veri di quelli esteriori. 13. cui... verace: che il mio cuore, spec­chio veritiero, riflet­te. 14.angue:serpente. tosco: veleno.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tema dello specchio è un motivo ricorrente della poesia barocca: la fuggevolezza, l'illusorietà dell'immagine riflessa, il suo rapporto ambiguo con la realtà danno voce a quel senso di incertezza e di relatività delle cose che è uno dei tratti caratterizzanti la mentalità dell'epoca. Potete notare come nel testo la stessa realtà venga presentata in modi opposti at­traverso il gioco di due diversi punti di vista. È tipico della poesia barocca creare una sorta di "gioco di specchi" tra le parole usando le stesse espressioni per riferirsi a significati e oggetti diversi, sottolinean­do anche in questo modo la non corrispondenza tra la realtà e gli strumenti che usiamo per designarla. Non è difficile individuare i punti in cui questo artificio è presente nel sonetto.

Ciro di Pers - Orologio da rote

Un oggetto che ritorna ossessivamente nelle poesie barocche è l'orologio, frutto della tec­nica umana e insieme emblema del tempo che passa e dell'avvicinarsi della morte. L'oro­logio meccanico era detto "orologio da rote" per distinguerlo dalla meridiana ("orologio da sole") e dalla clessidra ("orologio da polvere").

Ciro di Pers (1599-1663) nacque da famiglia nobile nel castello di Pers in Friuli. Estraneo alla mondanità della vita letteraria contemporanea, per una delu­sione amorosa entrò nell'ordine dei Cava­lieri Gerosolimitani, recandosi a Malta e partecipando a una spedizione contro i Turchi. Rientrato in Friuli, passò il resto della sua vita nel suo palazzo di San Da­niele. Le sue opere (tra cui la tragedia L’umiltà esaltata or­vero Ester Regina e le Poesie) furono tutte edite dopo la sua morte.

 

 

 

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Mobile ordigno di dentate rote

lacera il giorno e lo divide in ore

ed ha scritto di fuor con fosche note

a chi legger le sa: Sempre sí more.

 

Mentre il metallo concavo percuote

voce funesta mi risuona al core

né del fato spiegar meglio si puote

che con voce di bronzo il rio tenore.

 

Perch'io non speri mai riposo o pace

questo che sembra in un timpano e tromba

mi sfida ogn'or contro a l'età vorace

 

e con que' colpi onde 'l metal rimbomba

affretta il corso al secolo fugace

e, perché s'apra, ogn'or picchia a la tomba.

1. ordigno: conge­gno. 3. note: lettere. 5. Mentre... percuo­te: mentre (l'ordigno) colpisce il metallo concavo della campa­na. Si riferisce al rin­tocco delle ore. 7-8. né... tenore: e l'andamento malvagio (rio tenore) del destino non si può esprimere meglio che con questo suono metallico. 10. in un: insieme. timpano: tamburo. 11. mi sfida: mi istiga a lottare. ogn'or: continuamente. età: tempo. 12. onde: per cui. 13. affretta.. fugace: rende più veloce lo scorrere, già rapido, della vita (secolo fugace).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In un'epoca nella quale si fa luce un'idea dell'universo come grande meccanismo re­golato da leggi fisiche, l'orologio meccanico, oltre a venire incontro alla ricer­ca tipicamente barocca di temi estranei alla tradizione poetica, si presta ad essere usato come simbolo della nuova visione del mondo. L'immagine evocata da Ciro di Pers è cupa e sinistra: l'inesorabile procedere degli ingranaggi dell'orologio scandisce lo scorrere del tempo e sembra quasi affrettare l'avvicinarsi della morte, tanto più mi­nacciosa e inquietante in quanto dal testo è assente ogni prospettiva di eternità. Potete notare come il moto regolare, circolare e ineluttabile dell'orologio sia sot­tolineato dalla ripetizione in forma variata del medesimo concetto in ogni strofa. Un particolare rilievo ha il suono delle parole: facendo riferimento alle rime e alle assonanze in fine di verso potete individuare le sonorità che ritornano ossessivamente nel testo e dare un'interpretazione del loro possibile significato. Come in tutte le poesie barocche, le metafore hanno un ruolo fondamentale: po­tete notare come i legami di significato che le apparentano tra loro abbiano a che fare con le idee di lacerazione, divoramento, percussione.