Tertulliano

Quinto Settimio Fiorente Tertulliano nasce intorno al 160 a Cartagine da genitori pagani di condizione piuttosto agiata: il padre è un centurione della coorte pretoria d'Africa. La sua formazione culturale è di livello elevato, consona ad un giovane di buona famiglia. Riceve infatti una accurata educazione retorica, filosofica e giuridica e conosce perfettamente il greco e il latino. Gli studi di retorica gli fanno ac­quisire familiarità con il pensiero e lo stile di Cicerone e Quintiliano. Gli studi filosofia lo introducono nel dibattito filosofico contemporaneo e lo portano ad occuparsi delle principali correnti di pensiero della sua epoca. Egli è, inoltre, profondo conoscitore della tradizione filosofica greco-romana, in particolare dello stoicismo e dell'epicureismo, soprattutto attraverso la lettura del poema lucreziano, oltre che delle principali correnti di pensiero sviluppatesi in età ellenistica e del platonismo. Mostra anche una buona conoscenza della seconda sofistica. Av­viato dalla famiglia agli studi giuridici, diviene un brillante avvocato e svolge a sua attività, per un certo periodo, anche a Roma. Si converte al cristianesimo intorno al 193, portandovi tutto l'ardore del suo temperamento e difendendo con grande energia la sua fede contro i pagani, contro gli eretici e contro la tradizione giudaica. Dopo la conversione, si stabilisce definitivamente a Cartagine, dove, secondo una testimonianza di Gerolamo, diviene presbitero e dove dà inizio alla sua attività letteraria, che si realizza in ambiti diversi: apologetico, antiereticale, etico-dottrinale. Tertulliano, che vive nell'età della dinastia dei Severi, in una Cartagine che costituisce, per importanza e splendore, la seconda città dell'Occidente e cui sembrano trovare un fertile terreno le sette ereticali del tempo, vive la complessa e sofferta realtà del cristianesimo delle origini.

Tertulliano è il più intenso e vigoroso autore di scritti apologetici. Egli incentra la disputa con i pagani sull'aspetto giuridico e trasforma la difesa in un duro atto d'accusa contro l'illiceità dei procedimenti seguiti, esaltando i princìpi della dottrina cristiana con una eloquenza dai toni appassionati e drammatici da tempo, assenti nella produzione letteraria latina. Lo scrittore cartaginese denuncia con sprezzante ironia l'assurdità delle procedure giudiziarie ani-cristiane come una violazione della grande tradizione romana e della logica del diritto; irride i miti osceni della mitologia come indegni di un popolo evoluto; dimostra la corruzione dei pagani e la santità cristiani; scinde abilmente la responsabilità degli imperatori da quella dei settari governatori provinciali, proclama, con una fede incrollabile rocciosa e totalizzante che si muta in sfida, la sua certezza nella vittoria finale: semen est sanguis christianorum. L'Apologeticum presenta notevoli affinità con l'Octavius di Minucio Felice, nonostante la differenza di toni e modi espressivi, tanto da rendere difficile non ipotizzare un rapporto di dipendenza dell'uno dal altro. La questione è complessa e dibattuta in quanto costituisce non solo un problema di collocazione cronologica dei due autori, ma investe una più delicata disputa sull'originalità delle loro opere e sugli inizi della letteratura cristiana.

Dopo un intenso periodo di adesione al cristianesimo (196-206), il rigorismo morale insito nel suo carattere porta Tertulliano ad avvicinarsi alla setta dei montanisti, la cui intransigenza ed entusiastica attesa di un prossimo giudizio finale rispondevano alle esigenze del suo temperamento. Da questa setta poi si allontana perché deluso dai princìpi e dalle pratiche che essa richiedeva ai suoi adepti (penitenza, digiuno, esaltazione del martirio) per fondare una propria setta (tertullianismo), ispirata ad una moralità ancora più rigorosa. Incerto è l'anno della morte, avvenuta probabilmente tra il 220 e il 230 (di lui non si hanno più notizie dopo il 220). Di lui ci sono pervenuti 31 scritti che vengono solitamente raggruppati in base al genere e al periodo di composizione:

  • negli anni di adesione al cristianesimo compone: Ad nationes, Apologeticum, De testimonio animae (di carattere polemico-apologetico); Adversus Iudaeos, Ad martyras, De spectaculis, De oratione, De patientia, De cultu foeminarum, Ad uxorem (di carattere parenetico; dal gr. parainetikós, derivante dal verbo parainèin, "ammonire, esortare"); De praescriptione haereticorum, Adversus Hermogenem (di carattere antiereticale); De baptismo e De paenitentia (di carattere liturgico e penitenziale);

  • negli anni in cui si manifesta l'influsso del montanismo (207-212) compone: Ad Scapulam (di carattere apologetico); De idolatria, De corona, De exhortatione castitatis, De virginibus velandis (di carattere parenetico); Adversus Marcionem, Adversus Valentinianos, De anima, De carne Christi, De resurrectione mortuorum, Scorpiace (di carattere antiereticale);

  • negli anni infine di rottura con l'ortodossia cristiana e con la Grande Chiesa compone: De fuga in persecutione, De ieiunio adversus psychicos, De pallio (di carattere parenetico); Adversus Praxean (di carattere antiereticale); De monogamia, De pudicitia (di carattere sacramentale).

Apologeticum

Il tema affrontato nell'Ad nationes viene ripreso e sviluppato in modo più organico nell'Apologeticum, un discorso, composto nel 207, rivolto ai Romani imper-ii antistites, i magistrati che presiedono all'amministrazione della giustizia nelle diverse province dell'impero. Il discorso si svolge nei modi dell'orazione forense, con il duplice intento di dimostrare che i processi contro i cristiani sono privi di ogni fondamento giuridico e che i cristiani si comportano come cittadini esemplari, ai quali spettano, di conseguenza, gli stessi diritti riconosciuti ai pagani e ad altri gruppi etnici o religiosi. Lo scritto è una difesa dei cristiani rinchiusi nelle prigioni poiché ritenuti colpevoli di aver professato la nuova religione, in un periodo di particolare virulenza delle persecuzioni imperiali e dell'ostilità popolare. Tertulliano denuncia il modo iniquo con cui vengono trattati i cristiani sul piano giuridico: condannati sulla base anche di una semplice delazione, senza che sia fornita loro la possibilità di difendersi (cap. 1). Essi poi vengono torturati non perché confessino il loro reato ma perché neghino il loro essere cristiani, con una procedura del tutto anomala (cap. 2). Il solo fatto di chiamarsi cristiani genera un odio ingiustificato presso l'opinione pubblica (cap. 3). Se le leggi che si applicano sono inique e inadeguate, devono essere cambiate (cap. 4). Del resto tali leggi sono state applicate solo in certi momenti e da imperatori particolarmente malvagi e anche per altre leggi si sono verificate modifiche o abrogazioni (capp. 5-6). Dopo una parte introduttiva, in cui chiede, sostanzialmente, che i cristiani vengano trattati allo stesso modo degli altri cittadini dell'impero, passa a confutare le accuse più gravi (incesto, infanticidio). Tali accuse sono solo fandonie e si riferiscono a iniquità commesse apertamente o nascostamente dai pagani (capp. 7-9). Tertulliano affronta poi l'accusa principale rivolta ai cristiani di sacrilegio e lesa maestà, che deriva dal fatto che essi non onorano gli dèi pagani, poiché non li ritengono dèi ma uomini divinizzati, a loro volta colpevoli di gravi colpe (capp. 10-11). Questi inoltre sono spesso trascurati dagli stessi pagani e dileggiati da poeti e commediografi (capp. 12-16). Inizia, a questo punto, ad illustrare il carattere del Dio cristiano per dimostrare le falsità che vengono sostenute sul suo conto dai pagani (cap. 17). Dio si è rivelato attraverso le Scritture, la cui autorità è garantita dall'avverarsi delle profezie, tra cui, in particolare, quella relativa all'avvento di Cristo (capp. 18-24). Egli confuta inoltre l'opinione diffusa e accreditata presso i Romani che siano stati gli dèi e la venerazione ad essi tributata ad assicurare la grandezza di Roma (capp. 25-27) e difende i cristiani dall'accusa di lesa maestà. Essi non invocano dagli dèi la salvezza per l'imperatore ma pregano il loro Dio al quale chiedono prosperità per la compagine imperiale e per l'imperatore (capp. 28-32). I cristiani riconoscono l'imperatore non come un dio, ma come un uomo superiore agli altri uomini e sottomesso soltanto a Dio (capp. 33-34). I cristiani, dunque, in quanto cittadini pacifici e rispettosi delle leggi e sottomessi all'imperatore sono il sostegno dell'impero. È dunque assurdo accusarli di essere responsabili di pubbliche sventure (capp. 35-41). L'ultimo elemento su cui Tertulliano fonda la sua difesa riguarda l'accusa di inutilità sociale (capp. 42-45). Le verità di fede professate dai cristiani, sul piano dottrinale, si rivelano superiori alle tesi dei filosofi pagani, che si sono spesso ispirati, pur travisandole, alle Scritture (capp. 46-48). Il trattato si conclude con l'esaltazione del martirio cristiano, prova evidente dell'ingiustizia e della crudeltà dei persecutori e fonte di nuove conversioni. Nella sua difesa lucida e rigorosa l'autore dà prova della sua competenza giuridica.

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